Riolo, oltre cento manifestanti protestano contro la continuazione della cava di Monte Tondo 

Romagna | 25 Giugno 2021 Cronaca
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Sandro Bassi - Oltre un centinaio i partecipanti alla manifestazione contro l’ampliamento della cava di Monte Tondo, a Borgo Rivola, domenica scorsa 20 giugno.
L’evento - svoltosi con una camminata sulla cresta di Sasso Letroso, di fronte alla cava, e con uno striscione nei pressi della ex Casa Cantoniera di Borgo Rivola (ora sede del Museo delle Grotte gessose e di un ostello del Parco) - faceva, e fa, parte di un ciclo di dimostrazioni iniziate circa un mese fa e originate dalla richiesta della ditta esercente l’escavazione, la multinazionale Saint-Gobain, di espandere l’area interessata agli scavi contrariamente – secondo i dimostranti – a quanto stabilito in una serie di patti sanciti vent’anni fa.
«All’epoca le parti in causa condivisero un accordo sull’estensione dell’area di cava e sulla quantità massima di gesso estraibile - spiega Massimo Ercolani della Federazione Speleologica Regionale - e oggi la multinazionale, contravvenendo a quanto concordato, chiede di espandersi. Gli enti locali non obbiettano nulla perché evidentemente reputano secondaria la salvaguardia di un eccezionale “bene collettivo” qual è la Vena del Gesso romagnola. Ma la distruzione di un ambiente per fini economici è segno di un diffuso degrado culturale, causa prima di tanti disastri globalmente intesi».
La questione, come noto, è assai complessa toccando la sfera occupazionale e sociale (la cava dà lavoro, direttamente o meno, a circa 80 persone) oltre che politica. In più c’è in ballo il riconoscimento Unesco, per cui il Parco prepara già da anni la candidatura con un iter assai laborioso e che potrebbe esser compromesso dall’eventuale espansione della cava: i sindaci negano perché la cava è di fatto nel pre-parco (fascia marginale «cuscinetto»), ma gli speleologi avvertono che «non si può da un lato chiedere soldi e riconoscimenti per la tutela di un bene e dall’altro non garantirne la conservazione». 
La cava di Monte Tondo è nata nel 1958 e nel 1989 è stata dichiarata «polo unico regionale» per l’estrazione del gesso, sulla base del concetto - sul quale ovviamente non tutti sono d’accordo - che una sola cava, per quanto grande, produca un impatto ambientale minore rispetto alle tante singole piccole sedi di estrazione che infatti da allora sono state chiuse. 
Nel 2001, tuttavia, Provincia, Regione e Comuni interessati promossero uno studio di dettaglio allo scopo di «identificare gli elementi di interesse e di tutela naturalistica che interagiscono con le attività estrattive», a fronte dei numerosi vincoli ambientali che gravano sulla zona: direttiva Habitat, vincolo paesaggistico e archeologico, istituzione del Parco regionale, tutela delle grotte come habitat di interesse comunitario e ai sensi della legge regionale n.9/2006, tutela di questa porzione di Vena come geosito. «Si stabilì quindi - dicono gli speleologi promotori della protesta -un’area massima raggiungibile e un quantitativo massimo estraibile; oggi la ditta viene meno a quegli accordi e chiede una deroga malgrado il quantitativo stabilito che garantisce l’estrazione fino al 2032». «Pacta sunt servanda! (i patti devono esser rispettati) - sostengono i dimostranti - e inoltre la tutela dell’ambiente è prioritaria su ogni altro fattore, specialmente riguardo le attività di distruzione irreversibile del territorio». 
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