Riolo, da un convegno multidisciplinare al “Malmerendi” arrivano nuove scoperte per la Tana di Re Tiberio

Romagna | 04 Aprile 2022 Cronaca
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Sandro Bassi - Sono state coinvolte tutte le discipline, con informazioni e dati nuovi, nel convegno sulla Grotta del Re Tiberio svoltosi sabato scorso presso il Museo di Scienze Naturali di Faenza a cura della Federazione Speleologica dell’Emilia Romagna. L’appuntamento ha avuto una durata di due giorni - sabato le relazioni e domenica un’uscita sul posto -e per un quadro completo delle conoscenze bisognerà aspettare gli Atti; ma intanto è possibile in estrema sintesi anticipare qualcosa.
Intanto viene antedatato l’inizio delle ricerche: risale al 1851 il primo rilievo grafico dell’ingresso della cavità ad opera del geologo (dilettante nel senso nobile del termine, geniale e coltissimo ma non laureato) imolese Giuseppe Scarabelli. Quest’ultimo notò anche le vaschette che tuttora costellano pareti e pavimento della galleria iniziale, vaschette scavate nell’età del ferro per raccogliere le acque di stillicidio ritenute terapeutiche. Per l’utilizzo di questa panacea di tutti i mali si instaurò un vero e proprio pellegrinaggio con tutte le conseguenti deposizioni di offerte come ex voto (bronzetti, vasi miniaturizzati, ecc.), ma questo Scarabelli non poteva saperlo ed interpretò inizialmente le vasche - molte delle quali in effetti rettangolari e curiosamente sovrapposte - come «colombari» cioè sepolture a parete come nelle catacombe romane. Quando tuttavia apparvero le evidenze dell’uso cultuale della grotta Scarabelli ebbe l’onestà di ricredersi e di smentire se stesso.
Ma passiamo alla botanica, visto che il «Re Tiberio» è stato mèta delle «erborizzazioni» dei grandi studiosi dell’800 e 900, dal faentino Caldesi fino al forlivese Zangheri. Tutti cercavano soprattutto due felci: la mitica Cheilanthes persica (poi scomparsa o ritenuta tale e infine ritrovata una trentina di anni fa) e l’ancor più rara Scolopendrium hemionitis; quest’ultima risultò estinta nel 1960 a seguito delle copiose raccolte dei botanici (erano altri tempi…), ma alla sua scomparsa diede il colpo di grazia l’alterazione microclimatica causata dai lavori di cava che avevano azzerato l’apporto d’acqua. Quest’ultimo è stato ripristinato dal Parco della Vena del Gesso con un tubo steso dagli speleologi di Mezzano, tubo che va a captare l’acqua di una sorgente interna per diffonderla nell’ingresso con uno «stillicidio artificiale» che ha comunque fatto ricomparire il capelvenere (tornato a circa 600 esemplari), ma che finora non è bastato per l’emionite. Si è tentata la reintroduzione della felce in ben sei grotte dei gessi, ma solo in una - e non è il Re Tiberio - con esito positivo. Buone notizie anche per i pipistrelli, presenti con sette diverse specie e con colonie di 15-18mila esemplari, di importanza nazionale che ultimamente però si sono spostate nelle gallerie della limitrofa cava di Monte Tondo, solo, ovvio, in quelle non più interessate all’attività estrattiva. Infine la paleontologia: sono stati per la prima volta datati con il radiocarbonio alcuni resti ossei umani provenienti dalla Grotta del Falco (sempre parte del sistema Re Tiberio) e che risalgono al Bronzo Antico (1850-1650 a.C.); inoltre sono diventate ben 80 le diverse specie vegetali le cui foglie fossili sono emerse nelle argille fra il 12° e il 13° banco gessoso in loco.
Infine e parallelamente la Regione, ha finanziato, con 60mila euro di stanziamento, anche l’intervento per la messa in sicurezza dell’ingresso della cavità ipogea. 
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