Ravennate, i genitori degli adolescenti: «I nostri figli? Stanchi e apatici»

Romagna | 03 Aprile 2021 Cronaca
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Silvia Manzani
«Le mancano i compagni di classe, il tragitto in bicicletta verso la scuola la mattina, gli insegnanti, lo sport». Tiziana Felice è la mamma di Giulia, che frequenta la seconda media alla Carchidio-Strocchi di Faenza. Per quanto la ragazzina non si lamenti in maniera esplicita, la madre la vede nostalgica e stanca: «Il vuoto rispetto al contatto con gli altri credo sia l’aspetto più rilevante, al momento. All’inizio, specie l’anno scorso, non andare a scuola era sembrata anche a lei una bella novità, un modo per essere meno impegnata. Ma a settembre i ragazzini e le ragazzine della sua età avevano ritrovato normalità e stabilità. Ora anche Giulia è in un limbo, in attesa di qualcosa che non si sa quando accadrà». Vivendo in campagna, Tiziana già nella prima fase della pandemia aveva comprato per la figlia la banda elastica per consentirle di continuare con la danza aerea, che praticava con regolarità: «Si tratta senza dubbio di una possibilità di sfogo. Ma anche la mancanza della routine degli allenamenti inizia a pesare. Per un po’ i suoi insegnanti hanno tentato delle lezioni online il sabato pomeriggio ma vedevo che a Giulia non piaceva per nulla». E lo stress degli adolescenti si somma a quello del resto della famiglia: «Io sono in smart-working, mio figlio più piccolo in Dad. Siamo tutti più nervosi, ovviamente. E scattiamo alla minima cosa».

«ALIENAZIONE TOTALE»
«Non mi lamento. A me e a mio marito è concesso lo smartworking, i nostri figli sono ormai grandini e in buona parte si arrangiano, abbiamo computer per tutti e spazio a volontà. Ma l’alienazione che i bambini e i ragazzi stanno vivendo è ormai arrivata al limite». Sara Bonaccorso, ravennate, ha un figlio in quinta elementare e uno in terza media. Insieme al più grande è la protagonista, su Youtube, di un video dal titolo «La Dad non è squola» (www.youtube.com/watch?v=nNdIR2Epvds) girato e montato dal marito Dario De Francesco (sono insieme nella foto) per raccontare cosa vivono gli adolescenti, che dal letto passano allo schermo e viceversa, ormai trascinandosi per casa, come in un film di paura: «Ormai non tollero più chi ci accusa di lamentarci perché ci hanno tolto il parcheggio per i figli. La scuola è ben più che la didattica, è tutto l’insieme degli aspetti sociali e relazionali che si porta dietro. Mio figlio grande, che già non moriva dalla voglia di studiare, ha perso ogni interesse. Lo vedo demotivato, senza più nemmeno lo stimolo di fare le cose che amava, come disegnare. Di recente l’ho spronato a uscire, a farsi un giro. Ho violato una regola? Forse sì. Ma vederlo in questo stato fa male». Anche il più piccolo, che a scuola è sempre stato uno dei più diligenti e motivati, con la Dad è andato in crisi: «Nonostante abbia ottime insegnanti, ha perso slancio, non partecipa, si isola. Un problema grosso, aggravato dal carico micidiale che noi genitori ci troviamo a vivere tra gli impegni di lavoro nostri e quelli scolastici dei figli. Egoisticamente, ringrazio di non averli più piccolissimi». 

«NON SI LAMENTANO? PEGGIO»
«I miei figli sono abbastanza sereni. La preoccupazione, però, è mia e di mia moglie. Non vorremmo che si fossero abituati a questo immobilismo, che la rete fosse diventata definitivamente un surrogato dei rapporti sociali, che la normalità sia avere uno schermo davanti alla faccia». Raffaele Casadio, ravennate, è padre di un ragazzo che fa la seconda media e di una ragazza che è in prima superiore: «Non posso dire che i miei figli siano stressati. Ma ci sono piccoli segnali che mi mettono in allarme, come quando mia figlia ha detto che grazie a Internet passa più tempo con alcune ragazze che altrimenti non avrebbe frequentato. Oltretutto, il fatto che lei e il fratello non si lamentino non è necessariamente una buona cosa: preferirei che raggiungessero un livello tale di insoddisfazione da dirlo, che così non va bene». Insieme alle scuola e alle amicizie, i figli di Raffaele hanno dovuto rinunciare allo sport, nello specifico al beach tennis: «Tutto fermo, chiaramente. Per fortuna a casa parliamo molto di questo periodo, spero li stiamo aiutando a metabolizzare». 

«BISOGNA CHIEDERE  COME STANNO»
Anche Giorgio Stamboulis, ravennate, papà di un ragazzino di terza media e insegnante al triennio del liceo scientifico di Argenta, sa bene che cosa stiano passando gli adolescenti: «Non porto tanto il caso di mio figlio, che è tranquillo, quanto dei tanti ragazzi con cui mi confronto ogni giorno. Se chi era già bravo a scuola ha gli strumenti per compensare dal punto di vista dell’apprendimento, è però evidente che emotivamente stiano soffrendo tutti, dal primo all’ultimo. Una sofferenza che aumenta anche in base alla povertà educativa della famiglia, al luogo in cui si vive, alla possibilità di avere delle valvole di sfogo. Fatto sta che agli adolescenti, la domanda su come stiano, va sempre posta. Ci vuole attenzione, ci vuole interesse. Quando si dice che la Dad è ingiusta, ci si deve soffermare su questi aspetti psicologici, non tanto su quelli burocratici. Cosa vuol dire che porta dispersione scolastica? Non sono i numeri a contare, ma quel che avviene nel concreto. Prima del Covid uno studente faticava a capire la matematica? In classe c’era il compagno bravo a cui tirare la giacchetta. Davanti allo schermo no, si è soli e si resta indietro».

«LA CAMPAGNA AIUTA»
Voce fuori dal coro quella di Katiuscia Liverani, faentina, il cui primogenito frequenta la seconda media: «A Luca mancano sicuramente i compagni e la scuola vera, quella dei banchi. Ma devo dire che è riuscito comunque a trovare degli stimoli nonostante tutto. Abitiamo in aperta campagna, una vera fortuna: io lo sprono ogni giorno a uscire per una passeggiata con me e il fratello più piccolo. Faceva atletica prima delle nuove limitazioni e ne sta approfittando per continuare ad allenarsi nel campo del nonno, correndo». A costituire un vantaggio rispetto ad altri pre-adolescenti, secondo Katiuscia, è il fatto che Luca non aveva ancora iniziato a uscire da solo con gli amici, prima della pandemia: «Magari avrebbe cominciato in questo periodo, cosa ovviamente impossibile. Per fortuna mio figlio si appassiona alle cose: legge, fa origami, costruisce aeroplani di carta. Certo, ogni tanto la noia si sente e quando dico ai miei figli che siamo comunque fortunati a vivere qui in campagna perché, a differenza di molti, non siamo costretti a stare rinchiusi in un appartamento senza giardino, loro sbuffano. Anche gli equilibri, dentro casa, chiaramente subiscono: io sono in smartworking, i ragazzi in Dad. Bisogna capirsi e rispettarsi, cosa non sempre facile»
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