Ravenna, verso una rete interculturale: "Largo ai giovani"

Romagna | 19 Gennaio 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«I giovani, il loro senso civico, la capillarità sul territorio». Sono queste, secondo Mustapha Toumi del Centro di cultura e studi islamici della Romagna, le priorità che dovranno essere tenute presenti durante «Ravenna partecipa per una comunità interculturale», il nuovo percorso che porterà alla costituzione di una Rete interculturale sui temi dell’immigrazione: «Credo che sia una bella occasione per rilanciare e rigenerare le interazioni tra culture diverse dopo il fallimento, nell’ultimo periodo della sua esistenza, della Rappresentanza dei cittadini stranieri. Spero davvero sia la volta buona per permettere ai più volenterosi - italiani o stranieri che siano - di interagire ed elaborare progetti di cittadinanza attiva. In questo senso, credo sia fondamentale coinvolgere le nuove generazioni, fare leva sulla necessità che contribuiscano allo sviluppo della comunità ravennate, invogliarle a sentirsi partecipi». Allo stesso tempo, per Toumi è importante puntare sulle famiglie: «Dopo le modifiche della normativa sulle circoscrizioni, molti nuclei che vivono nel forese non hanno più un punto di riferimento diretto. Ecco perché sono convinto che questa rete debba lavorare su tutto il territorio, non solo sulla città». Altro punto cardine, una laicità intesa diversamente dal passato: «Purtroppo a certi eventi, come la Marcia per la Pace, non vedo le persone cosiddette laiche ma solo i rappresentanti delle confessioni religiose. Mi piacerebbe, in questo senso, che la Rete interculturale avesse un ombrello laico ma fosse lo stesso aperta, interattiva, capace di mettere insieme tutti. Se il futuro è dei giovani, se il mondo di domani è necessariamente multiculturale, non bisogna chiudersi a nulla ma impegnarsi a migliorare ciò che già c’è di buono su questo territorio».

«MAI PIÙ DISTINZIONI»
È sulla stessa linea Titilope Hassan, nigeriana, a Ravenna dal 1996 e mamma di due bambini: «Sono da sempre una mediatrice culturale, vent’anni fa era il mio lavoro, oggi lo faccio come volontaria. A Ravenna ho partecipato davvero a ogni tipo di progetto, sono anche stata candidata due volte alla Consulta. Mi piace la partecipazione attiva, credo molto al fatto che ognuno di noi, straniero o italiano, debba dare il proprio contributo. Spero, però, che questa Rete che andremo a realizzare non sia una ripetizione delle vecchie esperienze. Non perché non sia stato costruito nulla di buono, tutt’altro, ma oggi credo sia necessaria una nuova visione». Secondo Hassan una delle novità dev’essere il coinvolgimento dei giovani: «Bisogna che questa esperienza sia il più possibile aperta al contributo che i giovani possono portare. Faccio l’esempio di “Città meticcia”, che per molti anni ha fatto tanto per le famiglie e per i bambini, dall’aiuto per i compiti ai centri estivi. I volontari si sono invecchiati e di nuovi, con energie fresche, non se ne sono affacciati. Se le cose continuano così, le belle esperienze finiscono. Bisogna attivare chi può spendersi per il bene di tutti, fosse anche solo per un’ora alla settimana». Quanto alle progettualità, per Hassan è ora di non distinguere più tra italiani e stranieri: «Quando si lavora per soddisfare un bisogno o colmare un vuoto, le differenze vanno dimenticate. Spesso le cose che mancano a uno straniero possono essere le stesse che mancano a un italiano. Allora mettiamoci insieme, capiamo che se siamo più forti togliamo persone dalle strade, ci conosciamo meglio, costruiamo spazi aggregativi contro il disagio e la solitudine, entriamo maggiormente a contatto con questa realtà territoriale e sociale e siamo più in grado di migliorarla». 

«I MIEI OCCHI DI MADRE»
Ed è motivata anche Stella Martins, nigeriana, mamma di un ragazzo nato in Italia: «Credo molto in questo percorso, è davvero una novità per Ravenna perché la partecipazione è ampia ed estesa. Credo molto nel dialogo e spero che la Rete possa servire per risolvere problemi ma anche per valorizzare le persone, i giovani soprattutto: con la politica dell’odio, dalle seconde generazioni in poi non è facile promuovere l’incontro. Io, invece, anche attraverso mio figlio e i suoi amici, italiani o stranieri che siano, vedo volontà, voglia di fare, idee. Bisogna aiutarli e sostenerli, sempre tenendo a mente un’ottica interculturale. Per il bene dei più giovani, perché non ci siano discriminazioni e perché gli adulti di domani facciano qualcosa di buono, noi adulti dobbiamo metterci a sedere e ragionare sui passi da fare. La Rete, una volta costituita, sarà una grande opportunità per farlo».
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