Ornela Hila
«Sarà un festival per tutta la città e soprattutto per i ravennati». Inizia cosi il suo racconto sul Festival delle Culture Antonella Rosetti, istruttore direttivo culturale della Casa delle Culture, nonché promotrice dell’evento che si snoderà tra centro della città e area della Darsena da venerdì 9 a domenica 11. «Non si tratta di un festival ‘degli stranieri per gli stranieri’ – puntualizza Antonella Rosetti -, ma di un evento dedicato a tutta la città, che noi auspichiamo sempre più interculturale. In queste giornate vogliamo portare all’attenzione di tutti le tematiche legate alle emigrazioni, allo scambio culturale, all'incontro e ai problemi legati ai arrivi».
Antonella ha deciso di confidare con noi anche «come si cucina» dentro alla Casa delle Culture. Come si generano le idee e come si decide, per finalizzare in ultimo un «prodotto», che sarà visibile al pubblico nei tre giorni del Festival, ma anche nel Pre- Festival.
Il tema di quest'anno è «Diritto al Futuro e l'accoglienza» ed è stato scelto in sintonia con il momento storico che stiamo vivendo. «E’ una fase cruciale, dal punto di vista storico; parliamo di tematiche che i media stanno raccontando non sempre correttamente, creando anche timore, paura, preoccupazione. Passano spesso messaggi che possono alimentare derive razziste – racconta la responsabile della casa delle Culture -. Il festival è un’occasione per raccontare e vivere la diversità culturale come un’esperienza positiva. Da 11 anni il percorso che porta alla sua costruzione del festival si è modificato». Antonella Rosetti racconta che nei primi anni la manifestazione era gestita da un direttore artistico, che aveva la cura e l'attenzione di contattare e coinvolgere le associazioni degli immigrati, per inserti nel palinsesto. Oggi non è più cosi, c'è una metodologia di lavoro che si chiama 'progettazione partecipata' e coinvolge decine e decine di persone straniere e ravennati. E’ questa l'Intercultura che hanno scelto di sviluppare alla Casa delle Culture di Ravenna.
«Il festival è quindi un ‘prodotto finito’ – racconta -, ma l’Intercultura vera è il lavoro che facciamo in ottobre, quando iniziamo a progettarlo. I gruppi di lavoro sono tanti e ciascuno ha un responsabile, un straniero che cura e mette insieme tutto ciò che si concorda durante i dibatti. Noi facciamo incontrare le teste, ragionamento insieme, secondo un processo generativo, è questo l'Intercultura».
Dietro le quinte del festival c’è quindi un lavoro enorme, con un’assemblea di oltre 50 persone. Si parte a ottobre e si chiude in giugno. «Si discute e non mancano i conflitti - rivela Antonella -. Dobbiamo cancellare anche gli stereotipi buonisti, non è vero che l'Intercultura è ‘vogliamoci tutti bene’, questa è una prescrizione impossibile. Non funziona così. L'Intercultura è fatta di relazioni autentiche e in ogni relazione umana c’è una parte di conflitto. Da qui si passa per mettere d'accordo visioni e idee. Qui non c'è nessuno che vince, vinciamo tutti!» precisa soddisfatta.
«Per questo il festival è partecipato, non organizzato a tavolino. Il senso sta tutto nella nostra pratica dell'Intercultura». Negli ultimi anni la città se n’è accorta e la partecipazione si è intensificata. Gioca a favore anche la location, perché valorizzare la Darsena è un punto a favore degli organizzatori, senza contare l'aspetto più godereccio e folclorico, che coinvolge anche il versante culinario.
A proposito delle aspettative per quest'anno, la Rosetti specifica: «Mi aspetto questo ritorno di partecipazione, una risposta positiva non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo. Per noi è importante conoscere delle nuove persone, inserirle nella prossima progettazione partecipata, creare questo circolo virtuoso e generativo».
Lavorare da tanti anni con questo festival e le persone che fanno parte lascia il segno. Per Antonella dividere il professionale dal personale è molto importante. Il festival è fatto di relazioni e incontri e per lei questo ha un profondo significato. «Lavorare sulle relazioni richiede giusta distanza, ma anche empatia e compartecipazione. Lavorare sulle relazioni è un po’ come tenere le mani in pasta all'umanità».