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«Fatta eccezione per i due giorni “gialli” di gennaio, dal 23 dicembre non abbiamo più aperto». E’ netta la scelta del Fellini Scalinocinque, che a differenza di altri locali del centro non pratica né asporto, né consegne a domicilio. A spiegare la situazione è uno dei soci, Giuseppe Pietropaolo. «Non lo facciamo non perchè non abbiamo voglia di lavorare, ma perchè l’asporto ci mette a rischio assembramento. Da noi non c’è una ristorazione specifica, non si viene per prendere un cappelletto e portarselo a casa; non abbiamo mai fatto colazioni e non pensiamo certo di iniziare ora». Lo stesso vale per i drink. «Se si consuma vicino al locale si è a rischio multa, quindi se si viene a prendere uno spritz e lo si beve in piazza la musica non cambia. Abbiamo quindi deciso di mantenere la linea della sicurezza per tutti, dei clienti e nostra». A dire il vero le consegne a domicilio erano partite bene, anche se il ritorno economico era minimo. «Per la nostra tipologia di attività l’unica cosa da fare è quella di rimanere chiusi. E dire che l’attività stava andando bene, eravamo soddisfatti. Quello che dispiace è che il mancato incasso è alto, viste anche le belle giornate, ma la scelta fatta è quella giusta. Non abbiamo aderito ad iniziative di protesta sempre per un discorso di coerenza con l’aspetto sanitario, anche se né qui, né in altre attività, mi risulta ci siano mai stati focolai. Da un lato non abbiamo voluto creare problemi al cliente, che avrebbe rischiato una multa sulla propria pelle, dall’altro lo abbiamo fatto per una questione di responsabilità civile, anche se capiamo bene chi ha aderito, anzi, comprendiamo perfettamente le difficoltà del settore. La situazione è disperata. Mi auguro che i vaccini portino presto alla libertà e che nel più breve tempo possibile si torni ad una vita pressochè normale». Come denunciato da altri colleghi, la mancanza di sostegni si fa sentire anche per Pietropaolo. «Lo Stato dovrebbe considerarci di più: è complicato, i ristori sono pochi, non coprono le necessità delle attività, il nostro settore è stato lasciato a sè». (fe.fe.)
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