Ravenna, parla il segretario della Cgil Ricci: "Ancora mille lavoratori con ammortizzatori sociali"

Segretario Ricci, è presto per parlare di ripresa?
«E’ complicato. In provincia di Ravenna vi sono ancora un migliaio di lavoratori che usufruiscono di ammortizzatori sociali e dall’inizio della crisi ad oggi sono andati persi circa 6000 posti di lavoro. Ora assistiamo ad una stabilizzazione delle condizioni economiche degli operatori in essere e vediamo alcuni segnali di accelerazione, ma se parliamo di ripresa economica, senza tener conto del numero degli occupati e della condizione dei lavoratori, allora sbagliamo».
Qual è la ricetta della Cgil per lasciarsi la crisi alle spalle?
«Le aziende che fanno export e hanno subito meno la crisi, hanno accresciuto il tasso di innovazione e investimenti, ma non di occupazione. Studi ed esperti dicono che l’industria 4.0 avrà bisogno di un 25/30% in meno di occupati. Quindi occorre ragionare su ‘territorio’, ‘ambiente’ e ‘infrastrutture’ per creare nuova occupazione. Per uscire da questa situazione le strade sono due. Da una parte, devono aumentare le persone che percepiscono reddito e devono aumentare i salari. Dall’altra, occorre promuovere gli investimenti pubblici e inquadrarli come volano dello sviluppo economico, non solamente come voce di spesa e debito pubblico. Un territorio sicuro e infrastrutturato è sicuramente più competitivo».
L’Emilia Romagna, secondo i dati, è tornata a far parte delle locomotive d’Europa. Qual è, secondo lei, lo stato di salute del tessuto economico della provincia di Ravenna?
«I dati parlano di una regione in forte crescita, ma la provincia di Ravenna non è in testa. Il nostro territorio è legato all’economia agricola, al turismo che quest’anno va molto bene, al manifatturiero… Ravenna è una provincia intermedia, non può essere paragonata a Modena o Bologna. Per quanto riguarda il porto, il polo chimico e l’offshore, questi sono i tre asset fondamentali: spero che dagli investimenti in questi settori, dai fondali alle banchine lungo il Candiano fino agli investimenti promessi da Eni, riparta la crescita del tessuto economico provinciale. E spero che l’allentamento del Patto di stabilità, che potrebbe sbloccare importanti fondi a disposizione dei comuni, possa finanziare nuovi investimenti per rendere più appetibile, anche per le nuove imprese, il nostro territorio».
Quali sono le vertenze che più la preoccupano nella nostra provincia?
«Non mi preoccupa la singola vertenza, ma la situazione generale. Abbiamo un problema chiamato appalti pubblici, a partire da quelli che regolano i servizi di centinaia di lavoratori all’interno delle nostre scuole, e un secondo problema chiamato decentramento. Prendiamo l’esempio degli appalti Consip e dei subappalti per l’assistenza nelle scuole che toccano centinaia di lavoratori impegnati nella cooperazione sociale: si parla di proroghe per gli accordi, ma con la possibilità del committente di riconsiderare al ribasso le condizioni economiche. Ogni volta che cambia un’azienda, che cambia un contratto, a farne le spese sono i lavoratori. Pensiamo anche al turismo e all’appello degli operatori del settore che non trovavano lavoratori per alcune mansioni. I lavoratori c’erano, ma non hanno voluto lavorare a certe condizioni. Un ragionamento andrebbe fatto. Questa è la difficoltà principale per il sindacato: non è semplice entrare in certi luoghi di lavoro, vere e proprie zone grigie, e tutelare chi è già sotto ‘ricatto’ e lavora per un numero di ore ben lontano da quello indicato sul contratto o percepisce una retribuzione molto inferiore a quella prevista dai contratti nazionali».
Dopo il Jobs act, ora si parla di nuove misure per favorire l’occupazione giovanile. Secondo lei siamo sulla strada giusta?
«Non mi è mai piaciuto il Jobs act. Se si vuole incentivare l’occupazione giovanile bisognerebbe creare le condizioni: se parliamo di mandare la gente in pensione a 70 anni, allora chiudiamo le porte ai più giovani. Se ci sono dei contributi o degli sgravi non vanno distribuiti a pioggia o a chi assume perché un dipendente è andato in pensione, ma alle imprese che effettivamente creano nuovi posti di lavoro. Con contributi a pioggia assistiamo al passaggio, per alcuni lavoratori, dal precariato ad una occupazione stabile. Persone che, tuttavia, sono destinate a tornare nel precariato». (Samuele Staffa)