Ravenna, Marco Santi, artista a tutto tondo: «I nostri mosaici anche a Beirut»

Romagna | 06 Febbraio 2022 Cultura
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Elena Nencini
E’ entrato a fare parte del Gruppo Mosaicisti (una realtà di artisti che ha portato la tradizione del mosaico in Italia e all’estero) nel lontano 1977 ma Marco Santi si trova stretto nella definizione di ‘mosaicista’ in quanto si occupa da anni di restauro, conservazione, formazione e studio, collaborando con Accademie di Belle Arti e Università. 
Nonostante la pandemia Santi ha raccolto diverse soddisfazioni professionali in questo periodo.
Come è andata in pandemia?
«Io vado benissimo nonostante il periodo nero. Sia dal punto di vista della conservazione sia del mosaico. Ci caratterizziamo per i progetti internazionali, che hanno un certo prestigio. Ho chiuso bene il 2021, questi anni di covid non li ho sentiti da un punto di vista professionale. Anche se naturalmente come Gruppo mosaicisti non è sufficiente essere solo conservatori».
Negli anni passati aveva un canale privilegiato con Russia e Ucraina. Ha continuato a lavorare con questi paesi anche in pandemia?
«In Ucraina ho fatto grandi progetti, ma da qualche anno mi sono spostato in Libano dove sto portando avanti una grande opera che mi porta via molto tempo».
Di cosa si tratta?
«E’ un grande cantiere a Beirut, in Libano. Si tratta della più grande chiesa mai realizzata con tante superfici musive. Sono centinaia e centinaia di metri quadrati di mosaici. Solo il soffitto sono 500 mq2 di cielo»
Quando avete iniziato?
«5 anni fa: è un cantiere molto lungo e interessante, sarà la prima chiesa al mondo dove il mosaico non farà da carta da parati, ma sarà in mezzo alle persone, tridimensionale. Dopo 40 anni di mosaico, porto qualcosa di nuovo, una ventata innovativa dal punto di vista iconografico. Così mi diverto anche di più».
 Come si svolge il lavoro?
«Lavoriamo a Ravenna, tutti i mosaici vengono realizzati qui a studio poi due volte l’anno spediamo due container a Beirut e andiamo a montare i mosaici. Adesso dovevamo spedire delle opere finite ma in Libano al momento c’è una  grande crisi, quindi per motivi di sicurezza e di covid è stata rimandata. L’ultimo container è partito a settembre».
A ottobre del 2021 avete realizzato un altro mosaico a Rionero in Vulture, in Basilicata.
«Si, nell’ospedale oncologico più importante del meridione: l’associazione Amici di Padre Pio ha deciso di omaggiare i santo con un mosaico. Preferiamo invadere degli spazi, non realizzare mosaici da cavalletto, ci piace lavorare per spazi urbani, architetture, dilatare le superfici e costruire nuove superfici e costruire un messaggio». 
Nella più grande e antica cattedrale cristiana di New York avete realizzato un mosaico molto interessante?
«Si, abbiamo realizzato un mosaico dentro la cattedrale di San Patrick a New York, nella cappella di San Cherbal, santo cristiano maronita del XIX secolo. La scommessa era quella di inserire questo nuovo mosaico all’interno di un contesto gotico. Inserire colori già esistenti delle vetrate e intervenire con cobalti molto forti e integrarli con il contesto del santo. Il risultato finale è che sembra un’opera pensata insieme alal chiesa, non stride, ma si integra con il contesto circostante e con le vetrate. Siamo dei contaminatori, degli invader che portano in giro il nome di Ravenna e del mosaico». 
Come è la situazione del mosaico a Ravenna?
«Ravenna si è troppo chiusa nei laboratori, tutti si lamentano che non c’è lavoro, ma bisogna avere anche lo spirito imprenditoriale e andare a cercarsi il lavoro in giro per il mondo, non si può solo dire che il lavoro non c’è. Io cerco di essere dinamico, di capire cos’è il mosaico. Una volta la maggiore committenza era la chiesa, oggi gli artisti soffrono un po’ per trovare le committenze. Ancora oggi le chiese sono uno dei settori più redditizi per il mosaico; seguito poi dall’architetttura. Bisogna dire che se oggi  i miei concorrenti non sono certo i ravennati, ma la Scuola di Spilimbergo».
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