Ravenna, le cassiere: "In prima linea tra senso del dovere e paura"
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Silvia Manzani
«Ho pensato che non avendo figli piccoli né genitori bisognosi, non sarebbe stato giusto prendere ferie o mettermi in malattia. Sono qui, con grande senso del dovere, di certo non senza paure». Monica F. è una cassiera di un centro commerciale della provincia di Ravenna. Come molti altri colleghi, sta continuando a lavorare in prima linea nonostante l’emergenza Coronavirus, visto che i supermercati sono rimasti aperti: «Questa situazione ha preso un po’ tutti alla sprovvista ma devo riconoscere che nel giro di pochissimi giorni, siamo stati dotati di mascherine, igienizzanti e guanti. Io, per scrupolo, sanifico il pos del bancomat dopo il passaggio di ogni cliente e pretendo che le persone rispettino le distanze di sicurezza, anche perché adesso ci sono le righe per evitare che si stia troppo vicini. Devo dire che il mio supermercato si è attrezzato bene, anche offrendo alla clientela un numero minore di casse fai-da-te, sempre nell’ottica di rimanere lontani l’uno dall’altro». Grazie alle guardie che contingentano gli ingressi, non capita mai che arrivino frotte di persone in cassa: «L’organizzazione c’è e funziona, così come non manca mai qualcuno di indisciplinato che non sta troppo alle regole e che arriva senza alcun dispositivo di sicurezza. Io, dal canto mio, ho la sensazione di combattere contro qualcosa che non conosco, per cui sono ligia nel rispettare le direttive che mi vengono date, regole alle quali aggiungo tutta la mia prudenza: del resto, non so mai chi ho davanti, così come non posso sapere, in assenza di sintomi, se sono positiva io». La speranza di Monica è che tutto ciò che si mette in atto ogni giorno possa davvero essere efficace: «Io, per stare dalla parte del sicuro, ogni sera sanifico la mia mascherina. Insomma, cerco di essere il più attenta possibile».
Maggiormente preoccupate Paola C. e alcune colleghe di un punto vendita Lidl di Ravenna, che nonostante non debbano lavorare più ore vista la chiusura domenicale e un flusso minore di persone, sono sul chi va là: «C’è il sentore che si debba lavorare anche in alcuni giorni festivi, cosa contro la quale abbiamo già puntato i piedi. Essere sindacalizzati fa la differenza, anche se a ogni esigenza noi dipendenti non possiamo certo fare la voce grossa. Abbiamo le guardie all’entrata che scaglionano gli ingressi, anche se capita di vedere un po’ troppi clienti tra le corsie, così come abbiamo dovuto insistere e combattere per ottenere le strisce per terra, sia quelle tra cliente e cliente che quelle tra cliente e cassiere. Quanto alle mascherine, usiamo i panni Swiffer, che comunque filtrano. Ma vanno cambiati ogni quattro ore». Idem per la visiera di cui è stato dotato il personale: «Nel lavoro di corsia è difficilissima da usare, perché si sposta di continuo. In cassa ci si arrangia ma non è facile lasciarla al proprio posto. Anche per farci mettere il plexiglass in cassa, è stato necessario arrabbiarsi». Insomma, la percezione non è quella di essere al sicuro: «C’è grande stress tra di noi, alcune stanno mollando la presa. Ci si potrebbe mettere in ferie o in malattia ma siamo anche consapevoli che questo è lavoro. Vorremmo solo essere tutelate di più. Non è per nulla scontato resistere». Paola e le altre addette non cercano certo gli applausi: «Vorremmo solo essere rassicurate. Davanti alla gente ci lavoriamo noi, non la direzione».