Ravenna, la storia di Massimo e Rita, tutori di due minori stranieri
«È facile arrabbiarsi e indignarsi guardando la tv o leggendo i giornali. Ma poi, nel concreto, che cosa facciamo? Credo davvero che i minori stranieri non accompagnati, se seguiti in maniera adeguata e con una guida al loro fianco, possano essere una forza e avere futuro». Sono le parole di Rita Santarelli, 69 anni, ematologa in pensione, appena nominata dal Tribunale per i minorenni di Bologna tutore volontario di un ragazzo pachistano che compirà 18 anni alla fine dell’anno. A rendere ancora più intensa la sua esperienza è il fatto che anche il marito, il pediatra Massimo Farneti, ha scelto di diventare tutore:«Ho giurato il giorno prima di mia moglie, seguo un ragazzo albanese che diventerà maggiorenne tra qualche mese e che sto frequentando dalla scorsa primavera».
ADOZIONE E AFFIDO
La coppia, che vive a pochi chilometri da Ravenna, è più che abituata a solidarietà e altruismo: «Abbiamo due figlie, la prima è stata adottata - raccontano i due -. In passato abbiamo fatto anche un’esperienza di affido, ha vissuto con noi una ragazzina ivoriana. Ci piace aiutare gli altri, metterci a disposizione davanti al bisogno. Quando un anno e mezzo fa siamo venuti a sapere del corso per diventare tutori, non ci abbiamo pensato due volte. Ci è sembrata un’ottima occasione per fare di nuovo qualcosa di buono». I due ragazzi seguiti dalla coppia vivono entrambi in una comunità per minori, dunque si conoscevano già: «In genere li andiamo a prendere un paio di volte alla settimana, fin da subito abbiamo cercato di far vivere loro un’atmosfera il più possibile familiare. Abbiamo un nipotino di tre anni e una nipotina di due mesi, è bello vedere come si sia creato un legame anche con loro. La figura del tutore è nuova in Italia, noi la stiamo intrerpetando così, dando un po’ di calore e affetto a due ragazzi che sebbene così giovani, sono lontani da casa e sentono la responsabilità di dovercela fare. Speriamo di riuscire ad accompagnarli nel modo giusto verso la maggiore età e l’uscita dalla comunità. Se lo vorranno, noi resteremo al loro fianco anche dopo lo scadere della tutela legale, queste sono esperienza ad alto impatto emotivo, che non si possono certo chiudere solo per ragioni anagrafiche».
IL BELLO DELLE DIFFERENZE
E tra un’uscita al cinema e una cena con gli amici, non mancano i momenti divertenti: «Il ragazzo albanese - racconta Rita - è un fervente cattolico, quando lo abbiamo portato alla Festa dell’Unità e gli abbiamo proposto di comprare un libro, ha scelto la biografia di papa Francesco. Il “mio”, invece, è musulmano. E
mi ha fatto cambiare la ricetta del ragù, perché la carne di maiale ovviamente non la mangia. È spassoso stare insieme, prendersi anche un po’ in giro per le differenze culturali e religiose, soprattutto considerando che noi siamo atei». Con l’Albania, Massimo, aveva già avuto a che fare in passato: «Durante la guerra del Kosovo ho partecipato come medico a una missione in un campo profughi di 2.500 persone. Ancora prima, ero stato per un periodo ancora più lungo in Guinea
Konakri, per una missione sanitaria che prevedeva assistenza alla popolazione e formazione degli infermieri». Assessore all’Università e al Decentramento durante la brevissima giunta Miserocchi (tra il 1992 e il 1993), Massimo allora promosse anche un gemellaggio tra Ravenna e la città guineana di Boké. E oggi che potrebbe godersi la pensione, non smette, insieme alla moglie, di credere nel valore della generosità e nell’importanza di regalare umanità: «Quando la tutela dei ragazzi che sono stati scelti per noi finirà, sicuramente saremo pronti ad assumerne altre. Quando si tratta di fare del bene, non abbiamo problemi».
Silvia Manzani