Ravenna, l'educatrice dell'albergo sociale: "Triste negare abbracci"
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Silvia Manzani - «Non potere più stringere i bambini è triste, prima capitava che ne prendessimo in braccio anche due alla volta, ora non è possibile». Elisa Guarini, 36 anni, è un’educatrice della cooperativa Progetto Crescita di Ravenna e lavora all’albergo sociale di Via Torri e al «Maggese» di via Gulli, due strutture che accolgono mamme e minori in difficoltà: «Nel primo caso ospitiamo nove nuclei, per un totale di 12 bambini. Nel secondo cinque famiglie, per un totale di sette bimbi. Fin dalle prime restrizioni in materia di Covid, abbiamo cercato di spiegare la situazione, l’importanza dell’igiene e della sicurezza personale, provando al contempo a rassicurare tutti. Le “nostre” mamme sono quasi tutte straniere, molte provengono da Paesi del mondo dove le epidemie sono molto diffuse e la paura è dietro l’angolo: non ci è sembrato il caso di spaventarle ulteriormente». Nel frattempo, i bambini sono rimasti a casa da scuola: «Ci siamo dovuti, in qualche modo, reinventare le giornate. Chi va a scuola la mattina è impegnato nelle videolezioni, mentre nel pomeriggio cerchiamo di rimanere il più possibile in cortile per fare qualche attività all’aria aperta».
In sostanza, sia per gli educatori (nove in tutto per le due strutture) che per le famiglie, è cambiato un po’ tutto: «Dare una mano con i compiti rimanendo a distanza, negare un abbraccio o dover trasmettere calore ed empatia solo con gli sguardi sono aspetti inediti e per certi versi frustranti. Ci si adatta, certo, consapevoli che probabilmente questa emergenza non rientrerà dall’oggi al domani e che dovremo interiorizzare nuovi modi di operare. D’altro canto è bello notare come i bambini abbiano immediatamente capito il contesto e, senza lamentarsi, si siano anche impegnati a spiegare le cose alle mamme. Tra le donne, dall’altra parte, le poche che lavoravano sono rimaste a casa: c’era chi faceva le pulizie, chi dava lezione di spagnolo. Ora siamo tutti insieme, attenti a proteggerci ma anche a capire come far passare umanità senza usare il corpo. Al “Maggese”, per esempio, utenti e operatori mangiano insieme ma ora lo fanno a debita distanza. Io, personalmente, avendo un problema di salute sono costretta a usare la mascherina: ne ho scelta una colorata per non spaventare i bambini».