Ravenna, il pianista Cesare Pezzi omaggia Beethoven alla Rocca Brancaleone, con Francesco Manara
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Federico Savini
«Dimenticare Beethoven è dimenticare la bellezza. E’ un errore che non possiamo fare, anche nel drammatico contesto di questi mesi». Cesare Pezzi è un pianista ravennate di poco più di trent’anni che parla con tanta passione e un filo di timidezza del suo lavoro, insegnante e musicista di classica affermato abbastanza da aver girato il mondo e occupato già diverse cattedre. E bravo anche abbastanza da tornare a suonare nel cuore della sua Ravenna, giovedì 16 luglio alle 21, nella Rocca Brancaleone insieme a Francesco Manara, violinista tra i più grandi del panorama nazionale e non per caso primo violini dell’orchestra milanese della Scala. I due musicisti si cimenteranno in tre delle dieci sonate per violino e pianoforte di Beethoven, la 1, la 6 e la 9 (la celeberrima in dedica a Kreutzer), in omaggio ai 250 anni dalla nascita del titanico compositore tedesco.
«E’ davvero un grande onore suonare Beethoven in rocca, invitato dal Ravenna Festival - commenta Cesare Pezzi -, per me è il secondo invito e già questo mi emoziona».
Per di più qui si parla di Beethoven e certamente il contesto ha un che si insolito. Ma anche di storico…
«Assolutamente, è un evento specialissimo perché fa parte di quella serie di concerti e spettacoli con i quali, nello specifico a Ravenna, stiamo provando a rialzarci dopo la tragedia del virus. In più suonare con Francesco Manara è un grande onore, oltre che bellissimo, e Beethoven è davvero il mio compositore preferito. Nell’ambiente della classica è dispiaciuto un po’ a tutti che il suo anniversario venisse travolto da questo virus. Per celebrare il 250° beethoveniano c’erano tantissimi progetti, che però sono saltati».
Come avete scelto il repertorio del concerto?
«E’ stato molto naturale, sia perché Francesco Manara ha in repertorio tutte queste sonate, sia perché le misure anti-covid impongono di non fare intervalli, quindi ci siamo basati anche sul minutaggio. Però l’idea fondamentale è delineare un percorso di maturazione compositiva. Partiremo infatti da una sonata giovanile di per sé già bella, con evidenza scritta da un genio, ma nella quale le influenze di Haydn e Mozart sono ancora ben tangibili. La seconda sonata è invece già matura, già pienamente beethoveniana. La Kreutzer poi, è proprio un punto d’arrivo mai raggiunto prima, molto lunga e complessa, poco compresa dai contemporanei ma oggi evidente per il capolavoro che c’è. Non c’è il tempo per fare anche la decima sonata, molto tarda e rappresentativa anch’essa di un’ulteriore fase creativa».
Com’è andato il lockdown?
«L’ultimo concerto l’ho fatto in Svezia, a gennaio, ma se non altro ho continuato ad insegnare al Conservatorio di Fermo. Ho grande ammirazione per la prontezza dimostrata dal Ravenna Festival nel voler continuare a organizzare eventi. Io non sono quel che si dice un “animale da palcoscenico”, ma è fuori di dubbio che il palco sia magico. E’ difficile da spiegare, lo temo sempre un po’, ma lo desidero anche tantissimo e starci lontano così a lungo è stato difficile».
L’insegnamento della musica a distanza com’è?
«Almeno un po’ problematico, e per fortuna ho allievi abbastanza grandi e già capaci, con i quali attraverso le video-conferenze posso limare imperfezioni e cose del genere. Insegnare un movimento da zero a distanza credo sia impossibile. All’inizio c’è una componente di imitazione del gesto e del suono che necessita della presenza fisica».
Che prospettive ci sono sui prossimi mesi nel circuito della musica classica?
«Domanda da un milione di dollari! In un Paese come l’Italia, che ha radici nella lirica, la sinfonica e la cameristica hanno già di per sé qualche difficoltà addizionale e il risultato è che quello della classica è un po’ un mondo a sé stante. Devo dire che sembrava esserci più attenzione, da qualche anno, per il nostro mondo e non vorrei che il virus pregiudicasse una tendenza positiva. Mi preoccupa soprattutto il destino delle piccole realtà e delle piccole stagioni. I grandi andranno avanti ma per i piccoli sarà dura. In generale, credo che nel settore si debba investire di più sui giovani e cominciare a ripensare anche agli spazi. I teatri italiani sono parte del patrimonio dell’Italiana, capiamoci, ma credo che a quelle sale storiche andrebbero affiancati altri luoghi, che tolgano al pubblico ogni dubbio sulla “polverosità” della musica colta. Ovviamente sappiamo che tutto dovrebbe partire dalla scuola e dalla mia esperienza al liceo musicale di Bologna posso dire che, anche in questo caso, sembrava un corpo a sé stante, lontano dal resto del mondo della formazione. Lo streaming che abbiamo conosciuto in questi mesi non va demonizzato, ma guardato con interesse. Chiaramente rispetto a suonare dal vivo si perde molto ma uno svecchiamento dell’immagine della musica classica penso possa passare anche da queste tecnologie, sperimentate tutto sommato con successo in questi difficili mesi».