Ravenna, il direttore di Ortopedia: «Moltissima voglia di normalità»

Romagna | 01 Gennaio 2021 Cronaca
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«A essere pessimisti si fa sempre in tempo. Io, guardando al 2021, vedo un anno in ripresa completa. Se non prenderò il Covid, immagino possa essere un anno tutto sommato normale, anche se per tornare a una piena normalità forse bisognerà aspettare il 2022, se non il 2023». Alberto Belluati è il direttore dell’Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale di Ravenna, oltre che il responsabile per la Romagna. La sua fiducia nei prossimi mesi non cela però la stanchezza generale: «Ho due figli che studiano a Milano e che ogni volta che devono tornare a casa guardano il mio fascicolo elettronico per sapere se sono positivo o negativo. In reparto, tra i colleghi, la paura non è passata. Del resto non siamo eroi, come siamo stati descritti. I medici eroi sono quelli che vanno in missione in Africa e che non hanno bisogno di raccontarlo. Noi siamo persone che stanno ancora facendo errori e che forse dagli sbagli non hanno ancora imparato.  Ecco perché immaginare che cosa ci aspetta non è facile».
Con un occhio ai mesi passati, Belluati è comunque soddisfatto di essere riuscito a mantenere invariata l’attività della sua unità operativa: «Chiuderemo il 2020 con circa 2800 interventi. E soprattutto potremo confermare di essere riusciti a garantire tutti quelli di fascia A. Durante la prima ondata abbiamo creato un’unica équipe “migrante” che si spostava tra Faenza e Ravenna, assorbendo anche i pazienti di Lugo. Questo ci ha consentito di compensare il calo che avremmo potuto registrare a causa del Covid. Ci ha salvato, insomma, la collaborazione. Così come il fatto che nei momenti di caos qualcuno prendesse delle decisioni. Un esempio? Da un giorno all’altro il pronto soccorso traumatologico è stato spostato all’interno del reparto, così come tutte le chirurgie sono finite da noi: in quel momento mi sono trovato a coordinarle e agire in modo democratico sarebbe stato inconcepibile». 
Dalla sua, Belluati, ha anche avuto l’assenza di casi di contagio, almeno nella fase uno: «Nella seconda, invece, qualche positività tra i pazienti che arrivavano dalle Cra ci sono state ma per fortuna siamo riusciti a isolarli, evitando che il reparto venisse chiuso». L’aspetto più negativo del Covid resta a oggi, per il medico, il disagio dei familiari delle persone ricoverate: «Ho perso un cugino di 72 anni, a Milano. Ho vissuto quel dramma anche da parente, non solo da medico. E posso assicurare che il venir meno della parte umana è stato pesante. Oggi guardo al futuro con ottimismo, sperando di non essere smentito dai fatti. La direzione sanitaria ci sta aiutando: tutta le carenze di organico, in Ortopedia, sono state coperte. Chiaro, la mia non è una disciplina salvavita. Ma il Covid può avere avuto un impatto sociale, insegnando per esempio alla gente che in ospedale ci si va solo se se ne ha realmente bisogno». (s.manz.)
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