Ravenna, il direttore delle Malattie infettive: "Non torneremo al punto di prima"

Romagna | 28 Agosto 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«Non torneremo al punto a cui siamo stati mesi fa, su questo mi ritengo tranquillo. Ma qualche focolaio sparso lo metto in conto, per questo dico che dobbiamo essere flessibili, elastici, reattivi come abbiamo dimostrato di poter essere». Paolo Bassi dirige l’unità complessa di Malattie infettive, che a Ravenna comprende 20 posti letti per la degenza, l’assistenza domiciliare e carceraria, il day hospital e l’ambulatorio ma che è dislocata anche sugli altri territori, con un ambulatorio aperto tre giorni a settimana a Lugo e, a Faenza, con il day hospital condiviso con gli altri reparti internistici e l’assistenza domiciliare: «Gestiamo una mole di lavoro notevole ma per quanto riguarda il Covid, la situazione è tranquilla su tutta la provincia. Il virus c’è, circola ed è ancora molto contagioso anche se meno efferato, visto che sta colpendo i più giovani. Siamo anche diventati più bravi nel riconoscerlo e conoscerlo, oltre che più precoci nel gestirlo. Ovvio che qui entra in gioco, in buonissima parte, la responsabilità individuale. Ma con mascherine, igienizzanti e distanziamento, possiamo davvero riuscire a gestire la cosa». Bassi spera di sbagliarsi ma nei prossimi mesi, complici la riapertura delle scuole e la ripartenza, ancor più intensa, del mondo produttivo, i contagi potranno crescere ancora: «Non faccio il bacchettone ma non rinunciamo a educare le persone alle norme per la prevenzione, visto che certe indicazioni possono sembrare imposizioni e scatenare anche delle sfide. Chiaro, ho avuto vent’anni anche io e posso capire che per un ragazzo sia difficile rispettare le regole. Ma ripeto: stiamo attenti. Dal 28 febbraio ho passato il primo pomeriggio a casa il giorno di Pasqua, qui si ammalavano anche i medici e bisognava sostituirli: è stata una bella scuola ma lungi da noi immaginare di tornare indietro a quei mesi drammatici. Quello di cui, invece, dobbiamo fare tesoro, è l’enorme capacità di adattarci, la prontezza ad aprire e chiudere strutture e reparti davanti al bisogno. Se le persone, fuori, devono essere attenti e responsabili, noi sanitari dobbiamo mantenere la velocità di intervento. Costruire cattedrali nel deserto non ha senso. Lo ha, invece, non perdere l’elasticità, che ci farà sempre essere un passo avanti».
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