Ravenna, ha aperto la mostra di Sebastiao Salgado: «Exodus», 180 fotografie sulle migrazoni

Romagna | 21 Marzo 2024 Cultura
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Elena Nencini
Non era presenta all’inaugurazione della mostra «Exodus - Umanità in cammino», al Mar di Ravenna, ma Sebastião Salgado aveva le sue buone ragioni e ha voluto spiegare in un video perché: «Cari amici di Ravenna, è un piacere parlare con voi. E scusarmi perché non potrò essere presente, ma l’inaugurazione di questa mostra è esattamente il 21 marzo, il giorno del lancio in Brasile del nostro progetto ambientale. Sono molto felice che ospitiate questa mostra, perché rappresenta davvero quello che c’è di più importante al mondo: la diversità, diversità culturale, diversità razziale. Questo è un lavoro che per me era significativo realizzare ed è essenziale che le persone possano vederlo per comprendere l’importanza dell’integrazione dell’altro. Abbiamo bisogno di vedere, abbiamo bisogno di comprendere che chiunque lasci il suo Paese è come  fosse un grande eroe, per sopportare tutto questo carico negativo, l’esporsi al non essere ammessi, a non essere accettati. Una volta viste le foto di queste persone le comprendi e le accetti. Penso sia la cosa più importante che possa esistere sul pianeta. Grazie per ospitare questa mostra, spero che molte persone possano vederla e condividerla con il resto del mondo».
L’esposizione, che parte venerdì 22 al Mar e resterà aperta fino al 2 giugno, è l’evento principale del Festival delle Culture e vuole aprire una riflessione sui diritti umani - quelli esistenti e quelli negati -, attraverso 180 fotografie, rigorosamente in bianco/nero, che documentano un viaggio attraverso quattro continenti, per capire e vedere le ragioni delle migrazioni: guerre, fenomeni ambientali, esodo rurale, povertà, violenza.
A spiegare le ragioni per cui è nata «Exodus» - curata dalla moglie e sua fedele collaboratrice Lélia Wanick - è proprio Salgado: «La mia speranza è riuscire - come individui, come gruppi, come società - a fermarci per riflettere sulla condizione dell’umanità alla soglia del nuovo millennio. Oggi più che mai, sento che il genere umano è uno. Vi sono differenze di colore, di lingua, di cultura e di opportunità, ma i sentimenti e le reazioni di tutte le persone si somigliano. Abbiamo in mano la chiave del futuro dell’umanità, ma dobbiamo capire il presente. Queste fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte».
Sei anni di lavoro stanno dietro alle fotografie in mostra, un viaggio cominciato nel 1993 nella galassia delle migrazioni; nonostante le foto abbiano 30 anni continuano ad essere di un’attualità e di una forza dirompente. La qualità artistica si mescola con il messaggio politico e sociale. Infatti lo stesso fotografo ha dichiarato nel film di Wim Wenders Il sale della terra, che racconta la sua storia: «Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati. L’immagine dice: Basta! Intervenite! Agite!».

LA MOSTRA
Quattro le sezioni, contraddistinte da diversi colori. In «Migranti e profughi: l’istinto di sopravvivenza» il grigio fa da sfondo agli scatti  realizzati in diverse parti del mondo che documentano la speranza di chi scappa per raggiungere condizioni di vita migliori: ecco allora le frontiere di Messico e Gibilterra, ma anche le foto di chi scappa da Afghanistan, Kurdistan, ex Jugoslavia.
La seconda parte, sicuramente la più forte, è contraddistinta dal colore rosso: «La tragedia africana: un continente alla deriva», i conflitti in Sudan, Angola, Mozambico e Ruanda; quest’ultimo Paese in particolare ha segnato un punto di non ritorno per il fotografo, le violenze a cui ha assistito sono state talmente forti che l’hanno indotto ad abbandonare le foto di guerra per portare avanti prima il progetto «Genesi» - definito dall’autore come «Una lettera d’amore alla Terra» - e poi quello ambientale, in Brasile, di riforestazione.
Terza tappa, segnata in verde, «L’America latina: esodo rurale, disordine urbano»: a spingere alle migrazioni è la spartizione delle terre migliori tra i grandi latifondisti. Gli emigrati vanno a popolare metropoli come San Paolo in Brasile o Città del Messico, circondate da baraccopoli. Nei villaggi restano donne e bambini.
«Asia: il nuovo volto urbano del mondo» è la quarta sezione, grigio scuro, la fuga dalla povertà urbana, in India, in Cina, in Turchia, in Egitto, alle baraccopoli si contrappongono ai nuovi centri finanziari, modernissimi.
Chiude l’esposizione una sala dedicata a ritratti di bambini: quei bambini che sono sempre presenti durante i viaggi di Salgado, che lo scrutano curiosi mentre lavora. Sono fotografati ognuno vestito e in posa secondo i propri desideri, dai bambini seminudi dell’Amazzonia alle bambine di colore con il vestito del giorno di festa. Un’autodeterminazione di sé stessi I bambini, infatti, hanno scelto come essere ritratti: fieri, pensierosi, incerti, felici nonostante il futuro per loro sia ancora pieno di incertezze. Una galleria emozionante.
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