Ravenna, Giovanni Conti, all’Academy con Muti, guiderà la Cherubini nelle «Nozze di Figaro» della Trilogia d’Autunno

Romagna | 28 Ottobre 2022 Cultura
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Federico Savini
«La cosa che Riccardo Muti mi ha fatto capire meglio di tutte è il peso della responsabilità nel dirigere un organismo complesso come un’opera, che non è semplicemente l’orchestra, ma è la sua perfetta integrazione con i cantanti e la volontà del compositore. L’elemento più difficile e più importante del nostro lavoro. Che un grande maestro riesce a chiarificare». Giovanni Conti ha 26 anni, viene da Varese ma si è formato tra Milano e Stoccarda, ed è uno dei giovani direttori d’orchestre reduci dalla Academy di Riccardo Muti che avranno in mano le redini della Cherubini in occasione della Trilogia d’Autunno del Ravenna Festival.
In particolare, Giovanni Conti sarà il primo direttore ad occupare il podio dell’Alighieri per la trilogia mozartiana, dirigendo Le nozze di Figaro il 31 ottobre e il 4 novembre, mentre il Don Giovanni è in programma l’1 e il 5 novembre, e Così fan tutte il 2 e il 6 novembre, per la regia sempre di Ivan Alexandre e con Erina Yashima e Tais Conte Renzetti in direzione nelle altre due opere.
Quanto a Giovanni Conti, ha cominciato a suonare giovanissimo, studiando organo al conservatorio Verdi di Milano, dove si è diplomato in direzione d’orchestra con Daniele Agiman, per poi frequentare un Master di direzione d’orchestra a Stoccarda. E poi l’Accademia di Riccardo Muti. «Ho preso sul serio la musica da molto piccolo - racconta Giovanni -, probabilmente anche perché avere mio padre direttore di coro mi ha permesso di guardare alla musica come a un lavoro vero, non un semplice passatempo. E’ uno scoglio che probabilmente altri devono superare con più difficoltà»
Quand’è che hai capito che ti interessava la direzione orchestrale?
«A 13-14 anni nella basilica di Varese ho assistito per la prima volta a un concerto di un’orchestra di professionisti, che mi ha folgorato dalla prima nota della quarta sinfonia di Schumann. Il corpo sonoro generato da un’intera orchestra mi ha veramente colpito. Questo è stato il primo segnale, poi negli anni ogni volta che mi confrontavo con i diversi insegnanti di strumento mi veniva detto che avevo una maniera “orchestrale” di pensare la musica e di suonare. Studiare direzione a Milano, a vent’anni, mi ha fatto capire che era proprio la mia strada».
Studiare l’organo ha avuto un ruolo in questa scelta?
«Credo di sì, diverse tastiere hanno diversi registri e quindi lo strumento permette di per sé di creare una polifonia a livello timbrico, facendo qualcosa di parzialmente simile a un’orchestra».
Come sei arrivato alla Academy di Muti?
«Quel progetto è nato nel 2015 e l’anno dopo io studiavo direzione a Milano. Era una cosa a cui guardavo con grande interesse ma non credo ci sarei mai entrato. Nel 2020 ho comunque inoltrato la richiesta, ricevendo subito l’invito per l’audizione, che è andata bene e così sono entrato. Venivo dagli studi a Stoccarda ma il mio curriculum non era poi così ricco e di sicuro avevo ancora poca esperienza orchestrale».
Com’è stata l’esperienza con Muti?
«Alla Academy la frequentazione del maestro Muti si concentra in due settimane di prove con l’orchestra. La cosa che ho trovato non solo importante, ma proprio commovente, è stata la sua libertà e la sua naturalezza, le scarse formalità che non sono affatto scontate con un musicista di questo livello. Muti è molto aperto con tutti gli studenti, gli si possono porre dubbi e domande di ogni tipo. Mi ha fatto capire fino in fondo le responsabilità del direttore. E anche il rispetto per le partiture, approfondendo il senso drammaturgico che sta dietro al lavoro dei compositori. Con Muti abbiamo lavorato sulla Cavalleria Rusticana e I Pagliacci, opere che troppo a lungo sono state ritenute volgare, mentre si tratta di gioielli, se le si analizza nel dettaglio».
La considerazione dell’opera italiana è un tema sul quale Muti si è molto speso negli anni…
«E ha fatto benissimo, perché posso dire che a Stoccarda, dove certamente io ho imparato tantissimo e cambiato del tutto il mio modo di dirigere, una certa “sufficienza” per l’opera italiana c’è. In Italia ho sempre avuto insegnanti e guide dalle idee opposte. Non solo Muti, ma prima di lui Daniele Agiman, che viene dalla scuola di Antonino Votto, che fu il più stretto collaboratore di Toscanini. Aveva già questa prospettiva, per fortuna».
All’Alighieri dirigerai Le nozze di Figaro. Quale pensi sia l’aspetto più stimolante di quest’opera?
«Penso che in ambito di teatro musicale sia una delle opere d’arte più incredibili mai scritte. La cosa pazzesca di Mozart è la capacitò di partire da un numero abbastanza ridotto di strumenti e quindi di dinamiche e timbri, per poi creare un mondo sonoro ricchissimo. E lo fonde alla perfezione con quanto accade in scena: l’orchestra diventa l’amplificatore delle emozioni dei personaggi sul palco. Ogni volta che affronto questa partitura ci scopro qualcosa di nuovo, relazionarsi con questa freschezza è molto stimolante. E poi a Ravenna dirigerò una grande orchestra, la Cherubini, che ormai è una realtà tra le maggiori d’Italia, non solo fra le giovanili. Se aggiungo l’esperienza e la capacità attoriale dei cantanti non posso che ringraziare Ravenna Festival per quest’opportunità meravigliosa».
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