Ravenna, Franco Fussi tra «La Voce artistica», l’auto-tune, la Pausini e l’intelligenza artificiale

Romagna | 18 Novembre 2023 Cultura
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Federico Savini
«Lo spettro storico che analizzeremo è ampio, parleremo di un cinquantennio di evoluzioni della musica nella sua fruizione commerciale e industriale, con le tante ricadute sulla creatività artistica e il gusto estetico. Il focus maggiore sarà comunque sugli ultimi anni e sulla grande rivoluzione, o per meglio dire espansione del gusto che stiamo attraversando nel mondo della musica e della vocalità». Non è un caso che Franco Fussi, foniatra ravennate di fama internazionale e abitualmente al lavoro con i più grandi cantanti italiani, abbia scelto di introdurre la XIV edizione del convegno internazionale «La Voce Artistica» con un intervento dedicato a «Le generazioni e l’evoluzione della comunicazione artistica vocale: dai boomer alla generazione Z», anche perché di carne sul fuoco ce n’è parecchia. E anche se l’evento organizzato da Fussi al teatro Alighieri fino a domenica 19 si rivolge principalmente a cantanti e professionisti del settore, basta parlare con il foniatra per rendersi conto di come questi temi tocchino anche gli aspetti più popolari della musica e della sua narrazione (ad esempio l’inedita attenzione che le riserva da mesi il Tg1), scivolando anche nel terreno della sociologia.
«La Voce Artistica», che si aperta giovedì 16 all’Alighieri con un intervento di Tosca, proseguirà fino a domenica 19, con una lunga di interventi e seminari dedicati ai tanti aspetti della vocalità nel mondo di oggi (il programma è su www.voceartistica.it). Sono previsti anche due spettacoli musicali: venerdì 17 alle 21.30 con gli Oblivion e il loro excursus sul canto parodistico, e sabato 18 con le «Divas Live: tributo a Celine, Mariah e Whitney», con Teresa Gioda, Giulia Bellei, Valentina Cavazzuti.
«L’impianto del convegno ricalca quello che abbiamo costruito in questi anni - spiega Fussi -, con un focus marcato sul cambiamento della fruizione della musica e della gestione della voce negli ultimi 50 anni. E in particolare l’epocale passaggio dall’analogico al digitale e tutte le sue ricadute sulla creatività».
Lei stesso introdurrà i lavori parlando di «boomer» e «generazione Z», distinguo generazionali che ci stanno bombardando ultimamente. In passato non li si è mai enfatizzati tanto. Come mai?
«In effetti è così, c’è anche un programma tv che si chiama “Boomerissima”, quindi sono termini decisamente sdoganati. Sicuramente dietro a quest’enfasi sulle generazioni ci sono considerazioni di mercato; alle aziende interessa capire i gusti delle varie generazioni e le case discografiche lavorano tenendo conto anche di questo. Naturalmente, questo genere di ragionamenti tipici del mercato musicale possono andare a volte a detrimento della qualità».
Tant’è che sempre più spesso si sente dire che le capacità canore, proprio quelle di cui vi occupate a «La voce artistica», servano sempre meno per avere successo…
«La questione ha una certa complessità e ha a che fare con la relativizzazione dei gusti e dello stesso studio della vocalità. Non è una novità assoluta, anche perché è per lo meno dagli anni ’60 che gli “urlatori” come Tony Dallara si dichiarano degli autodidatti e vanno deliberatamente contro gli stilemi del belcanto. La stessa Mina si è sempre dichiarata autodidatta. Le scuole di canto si diffusero negli anni ’70 anche per via dell’evoluzione della musica da ballo dalla dimensione di coppia, cheek-to-cheek, al ballo sostanzialmente solitario. Questa evoluzione portò, anche per reazione, alla nascita dei festival canori come Cantagiro, Un disco per l’estate e lo stesso Castrocaro. Divenne chiaro che per vincere questi contest occorreva una buona tecnica vocale. E qui parliamo di canto “moderno”, che è cosa diversa dal canto classico e lirico. Già in quegli anni si relativizzò l’importanza dell’emissione vocale e dell’estensione. L’intonazione pulita, insomma, non è più così importante; con l’auto-tune, poi, ha proprio perso il suo valore assoluto. Le estetiche cambiano e proprio l’auto-tune ha comportato la nascita di nuovi stilemi canori».
Si tratta di estetiche che, da qualche anno, sono pure premiate dal mercato. Non siamo nel campo della musica di nicchia, insomma…
«No, infatti lo scenario attuale fa decadere l’assolutizzazione della tecnica come pilastro della qualità. Non è una cosa che va condannata, ma analizzata. Da foniatra, mi sento comunque di dire che l’eccesso di autodidattismo può diventare un problema qualora occorrano precisi strumenti vocali per risolvere problemi o debolezze di un progetto musicale. Un foniatra non è un meccanico, questo deve essere chiaro, esiste tutta una parte del lavoro di un cantante che ha a che vedere con le sue scelte, ben oltre la cura medica della voce. Di tutto questo parleremo all’Alighieri, anche con artisti che fanno sperimentazione pura, fuori dal mercato».
Ci sono limiti che sarebbe bene non superare con la tecnologia?
«La cosa che mi sbalordisce di più è il successo degli ologrammi che si esibiscono di fronte a platee gremite. Accade soprattutto in Giappone e di certo pop-star virtuali come Hatsune Miku problemi di laringite non li avranno mai! Ecco, forse a questo livello lo snaturamento dell’emissione vocale e delle emozioni ad essa connesse va» un po’ troppo oltre…
Cosa pensa dell’intelligenza artificiale applicata alla canzone?
«In fin dei conti l’intelligenza artificiale l’abbiamo creata noi, ma poi è proprio l’atto creativo quello che rimane escluso da una canzone plasmata dalla tecnologia. E credo che l’emozione non possa passare da formule e algoritmi precostituiti. Probabilmente esiste un limite all’efficacia emotiva dell’intelligenza artificiale applicata al canto; non ne farei quindi una questione etica ma di risultati».
Nel finale de «La Voce artistica» omaggerete Celine Dion, Mariah Carey e Whitney Houston, modelli di canto dei decenni scorsi. Oggi chi potrebbe stare al loro posto?
«Quelle tre cantanti hanno portato al massimo sviluppo una rivisitazione in chiave moderna di uno stilema canoro classico, in particolare la Dion, che ha fatto quasi un crossover con l’estetica proprio della musica classica. Viviamo in un periodo di rottura con i vecchi modelli, basta pensare al fatto che oggi non solo abbiamo l’auto-tune, ma che questo strumento, nato come “correttore” di intonazione, ha imposto un nuovo gusto. È difficile in Italia indicare qualcuno che porti avanti quel genere di modello canoro, ma probabilmente Elisa e Laura Pausini ancora rappresentano punti di riferimento in quel senso».
Di Laura Pausini, che lei conosce bene, è appena uscito il nuovo disco. Ha trovato evoluzioni, negli anni, nel suo stile canoro?
«Il disco di Laura devo studiarlo ancora a fondo, ma lei stessa poco tempo fa mi diceva che non voleva cedere all’elettronica. Ha un altro gusto, le piacciono le orchestrazioni ariose e ribadisce una linea estetica che è sempre stata piuttosto coerente. Mi ha anche detto spesso che temeva di fare lezioni di canto, per paura di snaturarsi e aderire a cliché canori troppo scolatici. Questo credo che sia vero fino a un certo punto, nel senso che oggi mi pare usi maggiormente il falsetto rispetto al passato, ha una gestione notevole della “massa sottile”. Anche se Laura rimane sostanzialmente un’autodidatta, c’è sicuramente una ricerca espressiva che evolve nella sua vocalità».
Cosa si aspetta da Sanremo?
«Un’ulteriore aumento di quella varietà di stili che osserviamo da diversi anni. Il festival è sempre più poliedrico per andare incontro ai gusti di più generazioni, e questo ci riporta alla questione dei boomer e dei gen Z. Questa varietà è funzionale al mercato, che si rivolge sia al ventenne che al cinquantenne. L’aumento dei “featuring”, spesso fra artisti dall’età molto diversa come Fedez e Orietta Berti, punta a raggiungere diversi pubblici».
È un fenomeno interessante da osservare per chi studia l’evoluzione degli stili canori?
«Le differenze si notano eccome, con evidenza. Per esempio nella collaborazione di Ornella Vanini con Colapesce e Dimartino devo dire che il modo in cui la Vanoni cesella le parole e i suoi significati resta qualche cosa di inarrivabile per le vocalità moderne».
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