Il significato concreto di quest’ultima frase, che è molto più di un motto, sta tutto nelle parole di Silvia, paziente oncologica che ha donato la propria testimonianza allo IOR. «Sei anni fa mi è stato diagnosticato un melanoma in fase avanzata, con 18 linfonodi su 21 positivi alle metastasi. A quanto ne sapevo io, una volta che si diffonde, è un tumore che non lascia scampo: invece, grazie ad una cura sperimentale, oggi sono ancora qui. Sono stata accanto a Emma per la sua comunione; ho applaudito Arianna al suo saggio di danza. Vedo crescere le mie figlie ogni giorno, e per ogni giorno su questa terra sono grata alla ricerca». Una donazione in memoria di una persona cara aiutano quindi a mantenerne vivo il ricordo nella gratitudine e nell’affetto di chi può vivere un giorno, un mese, un anno in più vicino ai propri affetti.
«Si tratta di una lezione che i nostri volontari hanno dimostrato non solo di aver appreso ma anche interiorizzato a tal punto da voler essere presenti a tutti i costi nonostante il freddo cominci a farsi sentire e il Covid imponga un’attenzione ancora molto elevata – spiega il Direttore Generale IOR, Fabrizio Miserocchi – l’impegno di quello che il prof. Amadori chiamava “il nostro popolo” è stato tale da aver permesso un contributo di circa 120.000 euro su tutta la Romagna. Si tratta di una cifra che, in tempi di pandemia, fa riflettere circa il modo in cui l’esperienza del volontariato sia vissuta nella nostra terra come qualcosa di molto più totalizzante di un semplice passatempo una tantum: chi si muove per presidiare uno stand in un periodo complesso e dimostrare la vicinanza dello IOR alle persone che affrontano questa particolare celebrazione lo fa perché sa che la causa che porta avanti farà la differenza nel concreto per i tanti che soffrono. In un periodo in cui lo scetticismo nei confronti della ricerca e della scienza è purtroppo molto forte penso sia un segnale molto importante».