Ravenna, Ezio Mauro il 25 ospite di Legacoop: «I giovani studino ciò che l’Italia ha sofferto durante il fascismo»

Romagna | 22 Maggio 2022 Cronaca
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Veronica Quarti - «Ai giovani chiedo di studiare e ricordare ciò che l’Italia ha sofferto durante il fascismo. Un secolo fa Ravenna divenne una delle capitali delle azioni squadriste. La guerra in Ucraina? Putin è un conservatore, è un nostalgico del sovietismo inteso come sovranità autoritaria. La guerra che ha scatenato lo taglia fuori dal tavolo dei leader mondiali rispettati».
Il 25 maggio, invitato da Legacoop, a Ravenna sarà ospite Ezio Mauro,  direttore de La Stampa dal 1992 al 1996 e poi del quotidiano La Repubblica, ruolo che ha ricoperto fino al 2016. L’intervento di Mauro avverrà alla Sala Nullo Baldini (dalle ore 9), per ricordare il centenario dell’assalto fascista alla Federazione delle Cooperative di Ravenna. In vista di tale occasione lo abbiamo intervistato, al fine di stimolare una riflessione che può innescare ulteriori ragionamenti in un’ottica politica contemporanea.
Direttore Mauro, sono passati cent’anni dall’assalto fascista al Palazzo Rasponi di Ravenna, che era all’epoca sede della Federazione delle Cooperative. Qual è a suo avviso la portata storica e politica di questo episodio?
«L’evento è un caso molto significativo in un anno terribile che è il 1922, anno in cui l’Italia perde la libertà e si consegna al fascismo. Ravenna diventa una delle capitali delle azioni squadristiche e all’interno della pianura padana che era il teatro di questa violenza esercitata dai fascisti. Nella primavera-estate del 1922 questa violenza fa un salto di qualità, perché punta ad attaccare lo Stato nelle sue articolazioni: parliamo di municipi occupati, giunte comunali costrette a dimettersi, sindaci che vedono arrivare a casa propria di notte le squadre fasciste, costretti a dare le dimissioni. Un’operazione quindi di anti-legalità vera e propria, compiuta con mano libera perché la polizia non interviene e la magistratura non sanziona. Il caso di Ravenna, cuore pulsante delle organizzazioni operaie è emblematico perché ci mostra un attacco rivolto ai repubblicani ed ai socialisti, differentemente da quel che accadde in molte altre località, nelle quali furono i popolari ad essere presi d’assalto. A Ravenna viene occupata la Casa del Popolo del Partito Repubblicano, tenuta in ostaggio con la promessa di essere restituita a patto che i repubblicani si stacchino dall’alleanza di lavoro costituita l’anno precedente, che univa forze diverse per tutelare i diritti lavorativi e la libertà di organizzazione del movimento operaio. Ci sono scontri e morti che innescano poi quello che è l’assalto alla Federazione delle Cooperative, che viene bruciata: questi bagliori nella notte danno alla città modo di vedere i fascisti che prendono potere progressivamente, nonostante i numerosi telegrammi di Facta che invocavano la fine degli attacchi. Le vicende di Ravenna, sulla scia di quelle già  accadute a Bologna furono, per citare proprio le parole di Italo Balbo, una serie di prove generali di quella che lui chiama rivoluzione, ovvero la Marcia su Roma: secondo Balbo si trattava di un vero e proprio test della disciplina, della resistenza, dell’ubbidienza agli ordini da parte delle squadre. In realtà il vero colpo di Stato, che spesso viene riconosciuto proprio nella Marcia su Roma, in realtà avvenne durante questi attacchi, queste “prove generali”».
Poco fa lei ha citato Facta, l’allora Presidente del Consiglio, e gli avvertimenti che costui aveva dato. Poco prima dell’assalto alla Federazione delle Cooperative, anche Nullo Baldini aveva inviato svariati telegrammi sul pericolo imminente, ma i vertici non lo ascoltarono. Secondo lei ad oggi, nel mondo dei social e di una comunicazione sempre più rapida, c’è il pericolo che le denunce di soprusi ed estremismi restino ignorati?
«Ovviamente non possiamo fare paragoni tra quel che accadde nel 1922 e ciò che succede oggi; diciamo che il mondo dei social innalza la temperatura della discussione pubblica, è una dimensione che favorisce spesso un linguaggio aggressivo ed insulti rispetto ad un pensiero o un ragionamento. I social sono pieni di messaggi che puntano ad una provocazione nei confronti di chi li legge: in questo senso sono strumenti di una distorsione della discussione pubblica. Accentuando l’aggressività del confronto pubblico, i social hanno pericoli in sé ma anche dei vantaggi, in quanto mettono gli utenti nelle condizioni di commentare ciò che capita adesso, perché si ha la possibilità di leggere, di informarsi, di prendere parte alla discussione. Non c’è più una presa di posizione nei giudizi che vanno dall’alto verso il basso, si parla invece di una comunicazione di tipo orizzontale».
Quello che ad oggi, in un’Italia in cui spesso figure politiche mettono in discussione i capisaldi della democrazia postbellica sulla quale il nostro Paese è stato ricostruito, sia importante sensibilizzare i giovani circa alcune ricorrenze, come questa che andremo a commemorare a luglio. In che modo si può effettuare un’efficace opera di consapevolezza?
«E’ molto importante, considerato che il fascismo è stato una grave frattura in Italia, che ha portato alle Leggi razziali, alla scelta di intraprendere una guerra a fianco di Adolf Hitler e che ha innescato nel nostro Paese una serie di conseguenze che l’Italia ha trascinato a lungo. Quindi è bene evidenziare queste ricorrenze: cent’anni sono significativi, sono un’eco nel nostro Paese che ci riporta a quell’evento e ci permette di capire come sia stato possibile che ciò accadesse. Ai giovani chiedo di informarsi, di comprendere e poi di formulare un proprio giudizio: quest’ultimo aspetto è importantissimo, specialmente considerato il fatto che di recente siamo sempre più testimoni di richiami e nostalgie fasciste (naturalmente in un’ottica contemporanea). Questo accade perché negli anni si è arrivati ad una sorta di banalizzazione del fascismo, come se fosse stato più un vizio italiano, che ha coinvolto tutto il Paese, una specie di zona grigia che la popolazione viveva quasi come fosse un compromesso tra la loro condotta pratica e gli ideali che si diceva di perseguire. Quindi questa riduzione del fascismo a semplice vizio italiano ha fatto si che venisse smarrito il senso di questa avventura e delle sue conseguenze: soltanto la conoscenza, la comprensione potranno restituire il vero significato di ciò che è successo. Ravenna è stata una delle città principali che fu protagonista di questi episodi terribili: vale la pena studiare, leggere e ricordare ciò che si è sofferto».
Lei nel 2012 ha avuto la possibilità di intervistare Vladimir Putin e di farle anche domande legate all’importanza della tutela e del rispetto delle minoranze: cos’è cambiato nell’ottica di Putin in questi dieci anni e a fronte di ciò che sta accadendo in Ucraina? Ammesso che a suo avviso sia cambiato qualcosa.
«Assolutamente. E’ cambiata la logica dietro alle sue azioni, lo ha spiegato recentemente: c’è la voglia di riprendere un’autorità che l’Unione Sovietica aveva e che la Russia ha poi smarrito in campo internazionale, quindi non è il desiderio di ricostituire il Comunismo, perché Putin si considera un vero conservatore e critico della dottrina comunista, in quanto a sua detta questa paralizza l’economia del Paese. Parliamo più di una nostalgia del sovietismo inteso come sovranità autoritaria che Putin vuole ricostruire e che l’Unione Sovietica aveva. Per raggiungere tale obiettivo che punta a ricostituire la dimensione imperiale, è stato disposto a diventare il campione dell’anti-Occidente: è una scelta che lo taglia fuori dal tavolo dei leader mondiali rispettati. Putin si è messo in una posizione di illegalità, contraria alle regole di convivenza civile, contro gli strumenti che hanno garantito la pace in questo lungo Dopoguerra. Viene quindi a mancare un giudizio comune di ciò che è bene e ciò che è male, in quanto la forza secondo Putin può e deve sostituirsi al diritto».
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