Ravenna, Eugenio Sideri e le sue «Calēre» pasoliniane all’Alighieri
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Federico Savini
Lo scontro generazionale al passaggio del secolo, il valore della memoria, l’eredità di Pasolini e quella della sinistra italiana. Sono tutti temi su cui lavoro da anni e anche attraverso questa “calēra” proseguo il cammino sulle mie radici». Si chiama proprio Calēre, nel senso, romagnolissimo, di «sentieri», il nuovo spettacolo del regista e scrittore ravennate Eugenio Sideri, per la prima volta nel cartellone del Ravenna Festival, in programma venerdì 10 alle 21 al teatro Alighieri; co-prodotto dallo stesso Festival con NoveTeatro e la Lady Godiva di Sideri. Che tornerà a raccontare di una famiglia romagnola e del complesso meccanismo del tempo che passa, attraversando anime, pensieri e utopie di diverse generazioni, chiamate a coesistere e, possibilmente, ad arricchirsi reciprocamente. «La mia prima volta al Ravenna Festival - conferma Sideri, impegnato nell’allestimento all’Alighieri - è una bella soddisfazione, anche perché mi hanno dato carta bianca, dimostrando che mi stavano seguendo da anni».
Calēre affronta temi, come il confronto generazionale e la memoria, che riecheggiano altre tue cose…
«Assolutamente, c’è uno scenario simile al libro Ernesto che faceva le case ma anche richiami all’epica della tragedia greca, su cui lavoro da tempo. E poi c’è Pasolini, un mio lume da sempre. Calēre era un sogno nel cassetto da prima che il Festival mi contattasse. Solo in ottobre ho saputo della dedica a Pasolini, che quindi è caduta a pennello!».
Di Pasolini immagino riprenderai la riflessione sull’evoluzione consumistica della società, giusto?
«Precisamente. Lo spettacolo parla di memoria e conflitto generazionale fra il Novecento e il nuovo secolo. Che lo scarto sarebbe stato così drammatico Pasolini lo capì tanti anni fa. Aveva uno sguardo profondo sull’industrializzazione; arrivò quasi a rimpiangere il mondo agricolo, di cui pure conosceva la durezza. Prevedeva il disfacimento del partito comunista, l’imborghesimento e tutto il resto. Direi che ora assistiamo a un’avanzata sfrenata del modello capitalista. Nelle Lettere Luterane Pasolini diceva che “Evoluzione non significa sempre progresso”. Ed è un problema che dobbiamo sempre porci»
Come affronti questi temi?
«Dalla prospettiva di una famiglia che osserva il cambiamento della società attraverso il tempo. Il teatro e l’arte in generale devono porre domande, più che dare ricette. E ci si interroga quindi anche sul ruolo della politica in questo tempo così complesso e disorientante».
Perché dare il titolo alle calēre?
«Sono i sentieri battuti nei campi. Ognuno ha una sua fisionomia, a seconda di quanto viene battuto e da cosa lo batte. Le strisce d’erba e di terreno sono tutte diverse. È la metafora del sentiero che percorriamo nella vita, non sempre così ben visibile. Mi preme che ognuno di noi non smetta di cercare la sua calēra. Già stiamo smarrendo le grandi utopie. Dovremmo battere i piedi e ricostruire il mondo che vogliamo».