Ravenna, Elena Bucci racconta «Lumina in tenebris», spettacolo con Chiara Muti
Federica Ferruzzi - Il prossimo 27 luglio Elena Bucci e Chiara Muti tornano ad incrociare le loro vite ed il loro percorso artistico sul palco dell’Alighieri (ore 21.30) per portare in scena lo spettacolo «Lumina in tenebris», produzione di Ravenna Festival in collaborazione con la Compagnia Le Belle Bandiere.
Bucci, come nasce lo spettacolo?
«Nell’anno dedicato a Dante, Chiara (Muti, ndr) ha avuto l’idea di compiere un viaggio tra i poeti che lo avevano ispirato e che a lui si sono ispirati con l’intento di riscoprire l’importanza della poesia nella vita quotidiana. La Commedia è frutto del genio del Sommo, ma rappresenta anche una forma di passaggio che porta alla fioritura di opere meravigliose che restano nella storia. L’obiettivo dello spettacolo è quindi quello di rievocare queste luci rappresentate dalla poesia che aiutano ad orientarsi all’interno della selva in cui viviamo. Anche se poi, come insegna Dante, è sempre necessario perdersi per salvarsi».
Quali sono le suggestioni dantesche che vedremo sul palco?
«Ci sarà Virgilio, ma ci saranno anche i bagliori di molti contemporanei come Primo Levi, Pierpaolo Pasolini, Alda Merini e Marguerite Yourcenar, anche se le poetesse sono state più lontane dall’opera di Dante. Dall’antichità ad oggi si assiste ad una tessitura di domande sulla crisi della poesia e sul rapporto di distanza e vicinanza che ci lega ai classici».
Insieme a lei ci sarà anche Chiara Muti, una collaborazione che ritorna...
«Sì, abbiamo lavorato insieme nella trilogia di Nevio Spadoni, l’ho diretta in Francesca da Rimini, mentre nel 2005 c’è stato lo spettacolo su Lord Byron e Teresa Guiccioli. Da ultimo abbiamo dato voce alle streghe di Macbeth nella rappresentazione che per la prima volta ha visto come scenografia il Mausoleo di Teodorico. A tratti ci ritroviamo, incrociamo le nostre strade».
L’estate l’ha vista protagonista in più spettacoli dedicati a Dante: quali sono gli aspetti che più l’appassionano del Sommo?
«A me è piaciuto molto “affrontarlo” a Russi, a Palazzo San Giacomo: in particolare mi è piaciuto abitare un luogo deserto mettendo a fuoco le domande dello sperdimento, assistere alla forza della poesia che si trasforma ogni volta e che illumina quello che stiamo vivendo. Tutto questo mi fa sentire la ritualità del teatro, mi pare di intuirne tutti gli aspetti, il vivere dal vivo insieme ad altri un’esperienza che ogni volta si reinventa. Si è trattato di un esperimento ardito: abbiamo abitato il luogo del nostro inferno dantesco, che al contempo è anche porta del Paradiso, mescolando le arti, come piace a me».
Qual è il «lumen» che guida Elena Bucci?
«Credo che sia l’ispirazione, il senso di libertà che mi fa seguire cose piccolissime e progetti grossi, l’essere curiosa, il sentire qualcosa che mi spinge ad andare verso una determinata situazione. Quello che mi guida è la curiosità. Il mio rinnovarmi continuo pur sentendomi parte di una tribù che si allarga al pubblico. Mai come ora sento che chi ama le arti deve stare molto vicino, sia chi le segue sia chi le pratica, per fare muro all’onda di violenza che stiamo vivendo, come se dovessimo essere consapevoli di dover vigilare. Il lumen è questo, vigilare con gioia e apertura affinchè quest’onda di oppressione non vinca sulle tante conquiste fatte negli ultimi secoli».