Federico Savini
«Per quello che posso dirne, non esiste un unico percorso per lavorare nel mondo del cinema. Io lo definirei un mix tra competenze, passione e incontri, tutte cose importantissime». Così come, probabilmente, lo è stato conoscere bene la nostra riviera nel caso Elena Baschieri, ravennate e «location manager» di Summertime, la serie Netflix la cui terza e ultima stagione è disponibile da qualche settimana, e che appunto in questi anni ha raccontato anche la nostra riviera, oltre che le avventure estive di alcuni adolescenti.
La serie, prodotta da Cattleya, e ispirata alla storia raccontata da Federico Moccia in Tre Metri Sopra il Cielo, è stata girata tra marina di Ravenna e Cesenatico e ha coinvolto in modo più o meno centrale altri ravennati, come il giovane attore Andrea Butera (vedi) box o il rapper Moder, presente virtualmente con la sua canzone Birre in lattina. Ma all’interno del cast tecnico un ruolo di un certo spicco, quello appunto di «location manager» cioè la persone che individua gli scenari in cui girare, è toccato fin dalla prima edizione alla giovane Elena Baschieri, in forze alla realtà ravennate Start Cinema per alcuni anni. «Ho iniziato a fare questo lavoro proprio collaborando, a Ravenna, con Start Cinema e Kamera Film - racconta Elena -. Non smetterò mai di ringraziare Maria Martinelli per il nostro incontro. Ora siamo ancora in contatto ma non lavoriamo più insieme».
In Summertime hai lavorato in riviera, luogo reale ma anche in un certo senso dell’immaginario collettivo. Che tipo di scelte hai fatto?
«Nel fare il mio lavoro il concetto di “scelta” è sempre relativo e si traduce in proposte che idealmente tengono conto delle linee creative e produttive del progetto. Proposte che poi verranno valutate e discusse, considerando anche una serie di variabili legate sia al “gusto” che alle esigenze del piano di lavorazione. Per fare una buona attività di scouting, è fondamentale la relazione con lo scenografo e il regista; sono loro che dettano il “sapore” e i “colori” del progetto. Il mio lavoro consiste anche nell’entrare in sintonia con le loro suggestioni, ricercandole nel territorio di riferimento, come ho fatto per tutte e tre le stagioni di Summertime. Parliamo dell’area tra Ravenna e Cesenatico, con l’indicazione però di trovare luoghi che evitassero espliciti rimandi alla contemporaneità».
In questa serie si usa molto il ritocco digitale dell’immagine? È una cosa che condiziona il tuo lavoro?
«Non posso parlare di aspetti della post-produzione che non conosco nel dettaglio, però posso dire che i luoghi e le location sono stati rispettati e rappresentati sempre in funzione della storia che dovevano raccontare. Per questo ritengo che l’attività di ricerca sia stata determinante. Senza dimenticare che Summertime non ha la pretesa di raccontare la realtà, e quindi accentuare, valorizzare e colorare alcuni elementi scenici fa parte del gioco della finzione cinematografica».
Lavorare su un «set naturale» che conosci bene è per forza un vantaggio oppure c’è da fare attenzione a delle possibili trappole?
«In Summertime abbiamo cercato ambientazioni naturali che si caratterizzassero per qualche aspetto, che fossero riconoscibili, insomma, sempre ai fini della storia. Ci sono però anche delle possibili “trappole”, in effetti, ad esempio abbiamo cercato di evitare luoghi che sarebbero sembrati artificiosi o con tratti di eccessiva modernità. Lavorare in un “set naturale” certe volte è più complesso, perché si è comunque esposti al clima, senza contare che gli interventi scenografici sono limitati. Nonostante qualche piccola difficoltà, in Summertime il fatto che il mare e la riviera siano raccontati in differenti declinazioni era fondamentale».