Ravenna e provincia, intervista alla neo segretaria Cgil Melandri: «Priorità al lavoro per ripartire»

Romagna | 11 Dicembre 2020 Economia
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Samuele Staffa
«Si dice che la pandemia sia democratica, ma non è proprio così: colpisce in maniera più forte proprio i più deboli». E l’unico punto fermo da cui ripartire per Marinella Melandri, la nuova guida della Cgil ravennate, è il lavoro.
Qual è la categoria di lavoratori che più paga il peso della crisi economica innescata dal Covid-19?
«Non c’è una sola categoria, ma alcune caratteristiche che accomunano tutti i lavoratori, ovvero la fragilità, il lavoro precario e la mancanza di continuità. Se vogliamo parlare di categorie possiamo ricordare il settore del turismo o i piccoli esercizi, oppure i lavoratori della cultura, dello spettacolo e dello sport. Spesso lavoratori atipici con contratti part-time: per loro gli ammortizzatori costituiscono un’integrazione salariale che non permette loro di sostenere un bilancio familiare. Oppure pensiamo ai contratti stagionali a chiamata o ai contratti a somministrazione nel turismo. In questo caso, la scorsa estate abbiamo assistito a una forte contrazione dei nuovi rapporti di lavoro: parliamo di oltre 5400 contratti in meno rispetto al 2019. Meno contratti stagionali significa anche meno integrazione al reddito: la Naspi avrà una durata e un valore inferiore. Tutti settori in cui, in tempi di crisi, diventa forte l’incidenza del lavoro grigio e nero. Poi preoccupa la rinuncia alla ricerca di lavoro: è preoccupante l’ascesa del numero degli ‘inoccupati’».
Senza dimenticare che questa crisi parte da un’emergenza sanitaria...
«Non possiamo pensare che non vi siano ricadute sui lavoratori della sanità e del settore socio-sanitario. In questo caso il carico è aumentato, ma la qualità e la quantità di lavoro hanno creato difficoltà per gli operatori. Proprio in questi giorni si parla nuovamente di addetti che hanno perso la vita a causa del Covid». 
Se allarghiamo il ragionamento oltre ai lavoratori, ma includiamo anche pensionati, bambini, disabili... quali sono le persone toccate più duramente da questa situazione?
«La nostra è una società che invecchia rapidamente e ha bisogno di ripensare a come viene accompagnata in questa fase. Gli anziani sono stati il punto più debole della catena. Nonostante l’impegno di tutti, il virus è entrato nelle strutture residenziali e ha colpito forte. E’ facile intuire cosa abbia significato il lockdown per le persone anziane: una cesura di quelle relazioni sociali che fanno la qualità della vita. Enti e associazioni, tra cui il nostro sindacato, hanno telefonato ad anziani e disabili affinché si sentissero meno soli. Molti servizi, durante il primo lockdown, sono stati chiusi e poi riaperti in modo parziale: penso ai centri socio occupazionali o socio riabilitativi per i disabili o ai centri diurni per gli anziani, che funzionano ‘al minimo’ per evitare il dilagare dei contagi». 
Poi ci sono i ragazzi...
«Dobbiamo dare atto alle istituzioni del territorio che da subito si sono poste la questione della riapertura delle scuole. Durante l’estate sono ripartiti i centri estivi e altre esperienze che hanno permesso, a settembre, una riapertura molto più strutturata. Ora siamo in una situazione intermedia e ci auguriamo di tornare alla didattica in presenza per tutti. La mancanza di socialità ha effetti diversi a seconda dell’età: questo periodo segnerà soprattutto sugli adolescenti».
In marzo scade il blocco dei licenziamenti. Sarà traumatico?
«Se alla fine di marzo non avremo una ripresa dell’economia che porti al riassorbimento di tutte le persone oggi in cassa integrazione, potremmo avere difficoltà a mantenere l’ordine sociale. Prima si accennava agli ammortizzatori sociali che, seppur tra mille difficoltà, hanno dato risposta alla quasi totalità dei lavoratori. Ora servono strumenti nuovi».
Tra qualche settimana, salvo veti politici in seno all’UE, dovrebbe arrivare il Recovery fund: l’Europa ci chiede di rivedere tutto, dalla spesa pubblica agli investimenti... Lei da dove inizierebbe?
«Al centro di tutto bisogna mettere il lavoro. Grazie al lavoro siamo ripartiti in primavera. Durante il primo lockdown sono stati raggiunti gli accordi con i sindacati per la riapertura delle imprese in sicurezza. La seconda ondata ci ha messo in difficoltà, ma vi sono nuove opportunità. Dobbiamo coniugare le risposte emergenziali, per chi ad esempio non ritroverà più il proprio posto di lavoro, con la ‘rigenerazione economica’ del nostro territorio. Di fronte abbiamo grandi sfide: dalla transizione ecologica, necessità evidenziata dai cambiamenti climatici sotto gli occhi di tutti, all’innovazione che passa dalla digitalizzazione: una tecnologia al servizio dei cittadini, che qualifichi il lavoro e non porti a un calo degli occupati. Ben vengano, quindi, queste risorse. Poi bisognerà canalizzarle verso una visione strategica del Paese».  
Su cosa punterebbe per superare la crisi nel territorio ravennate? Si parla sempre di infrastrutture...
«Penso che il porto di Ravenna abbia un ruolo strategico per collegare la provincia e la regione al centro Europa. Quindi tutti gli investimenti sul porto, dall’approfondimento dei fondali al rinnovamento delle banchine, sono importanti. Poi penso alla transizione energetica: Ravenna ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo hub ambientale dove sperimentare e investire. Qui ci sono competenze, capacità e imprese che hanno ancora insediamenti importanti». 
Lei è la prima donna proclamata alla guida della Cgil di Ravenna. Ora qual è il passo successivo per assecondare la naturale evoluzione del sindacato?
«La mia elezione è un elemento che si colloca dentro a un percorso: la Cgil ha l’obiettivo di mettere le donne nelle condizioni di ricoprire tutti i ruoli di responsabilità.  Il lavoro, però, non è mai finito. Sulle tematiche femminili bisogna fare un passaggio culturale importante. Dobbiamo parlare di contrattazione di genere e di violenza fisica, psicologica e verbale. Dobbiamo anche cambiare il linguaggio, spesso frutto di retaggi maschilisti. C’è ancora molto lavoro da fare, uomini e donne insieme».
 
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