Ravenna, Don Mino: "Prima le persone, poi le questioni burocratiche"

«Se gli organi pubblici capiscono e ci sostengono bene, altrimenti pazienza: noi non sbattiamo la porta in faccia a nessuno». Sono le parole di Don Mino Gritti, fino a due mesi fa parroco di Santi Simone e Giuda a Ravenna, dove è rimasto a occuparsi della scuola dell’infanzia, del dopo scuola e dell’oratorio dei ragazzi. In nome dei principi dell’accoglienza che ispirarono Don Bosco e che ancora animano le attività dei Salesiani, il religioso è convinto che nessuna legge, tantomeno il decreto Salvini, possa bypassare lo sguardo e l’attenzione che le persone, con i loro bisogni, meritano: «Gli individui valgono più di qualsiasi questione di ordine burocratico, quando vedi qualcuno piangere perché ha voglia di trovare un lavoro e sistemarsi, non si può non tendere una mano. Da qui, e non solo, il nostro progetto “A braccia aperte” che ci porta, per esempio, a offrire un pasto in oratorio, la sera, a tanti ragazzi stranieri minorenni, che da noi hanno anche la possibilità di fare una partita a carte o guardare una partita. E che da tempo ci porta anche a concedere per un anno, a titolo gratuito, una stanza e un bagno a quattro neomaggiorenni che escono dalle comunità. A loro, se ce n’è bisogno, diamo anche un pasto caldo oppure quel che serve per sistemare il permesso di soggiorno. È una soluzione abitativa d’emergenza in attesa che questi ragazzi trovino un lavoro più stabile e possano prendere un appartamento in affitto. Senza forme di sostegno come quella che diamo noi, ci sarebbe un vuoto appena escono dalle comunità».
Don Mino, che a Milano ha diretto per quattro anni proprio una comunità per minori, resta fuori da ogni discorso economico: «Noi ovviamente non agiamo per scopi aziendali ma in qualità di un organismo della Chiesa che, per ragioni legate al Vangelo, è chiamata ad accogliere, ovviamente con un certo discernimento: davanti a garanzie di sicurezza e buona legalità, le nostre porte sono aperte e, così facendo, sopperiamo anche a ciò che i servizi per le ragioni più varie non possono o non riescono a fare. L’ente pubblico può sbattere la porta in faccia a qualcuno, noi non possiamo farlo. Ecco perché, scherzando, a volte mi definisco un fuori legge». (s.manz.)