Ravenna, Centro diurno per pazienti con disturbi mentali: «Sorpresi dalla loro reazione»

Romagna | 24 Ottobre 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
Sono diminuite di circa una decina di unità, le persone con disturbo mentale, al Centro diurno che si trova davanti all’ospedale di Ravenna. «Il calo degli accessi - spiega la coordinatrice infermieristica Giuseppina Taibi, che segue anche una équipe di operatori che si occupano degli utenti inseriti in appartamenti a medio supporto - è giustificato dal fatto che il lockdown ha modificato alcuni assetti, facendo rientrare alcune persone in famiglia. Questo ha permesso a molte di loro di fare esperienza del cambiamento dei loro congiunti e di quanto fossero diventati anche una risorsa per genitori anziani. Genitori per i quali la riattivazione di una rete naturale ha permesso la modifica dell’intensità di supporto. Inoltre, dopo i tre mesi di chiusura, abbiamo potuto verificare, attraverso interventi individuali fatti negli ambienti naturali di vita, la capacità di molti utenti di generalizzare le abilità apprese. Per questo abbiamo  revisionato i piani di trattamento e, anche qui,  modificato l’intensità di supporto per cui  c’è chi è stato dimesso e ha proseguito il percorso di cura al Centro di salute mentale». Il Centro segue in prevalenza persone con disturbi dello spettro psicotico o con disturbi di personalità, anche nella modalità a domicilio: «Quando il Centro è rimasto chiuso in presenza, abbiamo utilizzato altri canali comunicativi come le telefonate e le videochiamate, andando anche a casa dei pazienti per insegnare loro a utilizzare le tecnologie. Chiaramente l’efficacia è stata diversa. Penso alle persone con disturbi psicotici, che hanno bisogno di provare e riprovare le istruzioni che vengono date loro rispetto a un compito e che, a distanza, non riescono certo a fare quello che si riesce a fare in presenza. D’altro canto, alcuni pazienti che già andavano motivati a frequentare il Centro perché tendenti a isolarsi, all’inizio del lockdown sono stati facilitati in questo loro atteggiamento proprio perché potevano restarsene a casa, dimostrando però, dopo la riapertura, la voglia e il bisogno di tornare ad avere punti di riferimento stabili e a fare le attività di gruppo. Attività che abbiamo dovuto riorganizzare nel rispetto delle norme sul distanziamento e contenimento dell’epidemia, ma che comunque vedono la riattivazione di gruppi di apprendimento di abilità, seppur più piccoli di quelli che eravamo soliti tenere, e una intensificazione degli interventi individuali nei contesti di vita, sempre con le dovute precauzioni». Insomma, se gli operatori si aspettavano conseguenze sulle condizioni di molti, questo si è verificato solo in parte: «La reazione delle persone che seguiamo ci ha in molti casi sorpreso in senso positivo, anche se bisogna ammettere che le persone più giovani o con disturbi della personalità, più emotive e inclini al contatto umano, hanno sopportato le restrizioni con maggior fatica». I cambiamenti degli ultimi mesi sono stati forti, dunque, anche sul lavoro e sulle abitudini del personale sanitario: «Da un lato c’è stata la paura del contagio, visto che l’età media degli operatori è 50 anni,  dall’altro i mutamenti che ha subito il sistema ci ha messi a confronto con frequenti riorganizzazioni e modifiche del nostro modo di lavorare. Ma davvero devo dire che siamo riusciti a fare molto, anche se la pandemia ci ha travolti costringendoci in tempi brevi a riorganizzare le modalità di presa in cura e di erogazione dei supporti. Gli stessi operatori degli appartamenti, che dovevano gestire i 35 pazienti isolati in casa durante il lockdown, hanno sopperito ai pezzi di servizi che in quel momento non erano in grado di rispondere con la stessa efficienza solita, tra fascicoli sanitari, farmacie e servizi limitati dei medici di medicina generale. La loro dedizione e la loro etica sono state sorprendenti». I casi difficili, insomma, per Taibi si contano sulle dita: «Quel che oggi rimane è una nuova flessibilità nell’affrontare le situazioni che via via si presentano. Non sappiamo prevedere che cosa succederà nei mesi a venire ma sappiamo che questa situazione di mezzo in cui siamo, a metà tra quello che possiamo fare e quello che potremmo fare, ci rafforza e ci stimola a migliorare». 
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