Ravenna, Bravura racconta i suoi 15 anni in Russia e la sua anima orientale e fiabesca: «Sperimento perchè amo le sfide»

Romagna | 25 Marzo 2022 Cultura
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Elena Nencini
Quindici anni molto produttivi quelli che il mosaicista Marco Bravura ha passato in Russia, a Tarusa: da quando ha incrociato la strada di Ismail Akhmetov, mecenate russo e industriale della ceramica, che ha offerto all’artista ravennate la possibilità di lavorare vicino Mosca. Insieme alla moglie Daniela Lombardi hanno vissuto nel paesino di Tarusa (un paesino definito la città dei pittori), ma a causa della guerra con l’Ucraina sono rientrati in Italia da pochi giorni (vedi a pag. 5 la storia del loro viaggio nda).
Tra le opere che colpiscono a Ravenna di Bravura la Rotoballa davanti al Museo d’arte della città e la fontana Ardea Purpurea in piazza della Resistenza, ma ha esposto alla Biennale di Venezia (2011) e alla IV Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca. E’ arrivato il 6 marzo in città, ma lavora inquieto: «Sono mosaicista se non lavoro muoro» dice ridendo, ma non troppo. 
Come è andata la pandemia?
«Dal punto di vista professionale è stata una manna, i russi sul covid hanno fatto finta di niente, mettevano a fatica le mascherine. Anche a Tarusa che è una piccola cittadina di artisti, dove passano tanti visitatori, sono state chiuse tante attività, io invece ho lavorato molto, ho realizzato diverse sculture. Anche se la pandemia è stata descritta come una guerra non era niente al confronto di oggi. Ho un peso fisico e psichico che mi blocca, ma ho bisogno di esprimere qualcosa di bello. Questa guerra è solo una follia: sono e sarò sempre contro qualsiasi tipo di conflitto, per questo motivo sono orgoglioso della nostra costituzione che ripudia qualsiasi guerra».
Cosa ha lasciato a Tarusa?
«Alcune opere musive, ma credo che la cosa importante è rendersi conto di aver seminato, grazie a Ismail (Akhmetov) sono state create due scuole di arte per bambini. Certo con la guerra abbiamo imparato che non si può dare niente per scontato, la nostra generazione diceva di mettere i fiori nei cannoni, a 70 anni ti trovi invece coinvolto in cose che pensavi di avere abbandonato». 
Cosa ha trovato per la sua ricerca artistica in Russia?
«Ho sempre avuto un’anima orientale, ho lavorato in Libano, ma da giovane ho sentito il fascino forte dell’India, dell’Afghanistan. Sono culture millenarie in cui noi occidentali ritroviamo le nostre radici indoeuropee. Della Russia mi ha sorpreso quanto sia forte la sua anima orientale e fiabesca e questo mi ha spinto ancora di più, un piede di qua e un piede di là. Tra Oriente e Occidente. A Tarusa ho lo studio più bello che abbia mai avuto, attrezzatissimo, ricco di materiale. Ho avuto anche la possibilità di sperimentare nuovi materiali ceramici, monocromi».
Perchè passare dai vetri colorati ravennati a un materiale monocromo?
«Ho usato una ceramica in lastre, un materiale industriale che Akhmetov produce in Russia. Mi piacciono le sfide: utilizzare un materiale industriale non prezioso per creare qualcosa di artistico. Poi c’è l’impronta decorativa, ma è stata una sfida riuscita. Utilizzando un colore unico e una misura di tessere univoca ho giocato sul movimento, sulla posizione delle tessere».

5 - continua
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