Piscine e parchi acquatici, è crisi nel Ravennate: "Anno da dimenticare"

Romagna | 21 Luglio 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«Dopo 31 anni di lavoro, ci sembra di essere in guerra. Una situazione del genere non la avremmo mai potuta immaginare». Giancarla Gordini, moglie di Luca Senni, titolare dell’Auai Auai di Lido Adriano, fino all’ultimo, mentre si rincorrevano le notizie e si susseguivano i protocolli, ha avuto paura di non aprire: «Alla fine ce l’abbiamo fatta l’8 giugno, una settimana in ritardo rispetto al solito. Non sapendo quando sarebbe potuta partire la stagione ed essendo rimasti indietro con qualche lavoro, siamo slittati leggermente in avanti». Ma non è quella settimana persa a fare la differenza: «L’impatto più grosso è aver perso cento lettini e dover, quindi, limitare gli ingressi. Quando arriviamo alla capienza massima, siamo costretti a chiudere il cancello. Avremmo potuto gestire gli accessi con le prenotazioni ma ci sarebbe stato bisogno di una persona dedicata solo a questo, cosa insostenibile: quest’anno, a fronte di un dimezzamento degli incassi, c’è bisogno almeno di un quarto di personale in più: più bagnini, perché sugli scivoli bisogna distanziare le persone e un addetto alla pulizia e all’igienizzazione, che praticamente passa le giornate a occuparsi solo di quello. Insomma, una stagione per nulla facile». Quanto ai bagni in acqua, si cerca di evitare gli assembramenti, anche se non è facile: «Per fortuna l’ultimo protocollo parla di quattro anziché sette metri e, essendo all’aperto, non siamo costretti a usare le mascherine. Però ci sono tanti limiti lo stesso: a parte dover usare più cloro in piscina, la parte pesante è quella economica, così come quella sociale: è imbarazzante dover dire alle persone che non possono entrare perché non c’è più posto».

«SITUAZIONE COMPLESSA»
Anche per Roberto Carboni, presidente della Nuova Co.g.i. Sport che gestisce direttamente le piscine di Faenza, Castel Bolognese, Russi e Casola Valsenio (e che fornisce l’ausilio tecnico per quella di Solarolo), questo è un anno da dimenticare: «La situazione è davvero complessa, alla fine ci sarà una perdita di un terzo del fatturato. Per dare una parvenza di normalità, a Faenza abbiamo riaperto il 24 maggio, il primo giorno utile. Ma le prime settimane sono state un bagno di sangue, perché la gente si doveva riabituare a luoghi come questi e tardava ad arrivare». Adesso, in termini di affluenza, le cose andrebbero certo meglio se non fosse per le limitazioni esistenti in materia di Covid: «Abbiamo deciso di chiudere sempre gli accessi prima di arrivare al limite numerico imposto dai decreti ma ci sono domeniche nelle quali abbiamo la fila all’entrata e dobbiamo, dopo un po’, dire no. Se nelle aree esterne, infatti, siamo in grado di accogliere una certa quota di persone, in piscina ne possono entrare meno. E se è vero che la gente deve autoregolamentarsi, è altrettanto vero che controllare che lo faccia è molto difficile». In termini di costi, la Nuova Co.g.i. Sport si è accollata il rifacimento dei lay-out degli spogliatoi e, in alcuni casi, i termoscanner mentre a livello di personale, non c’è stato né calo né crescita: «Il numero dei lavoratori è lo stesso dello scorso anno, a fronte però di incassi molto minori. È vero che nel periodo della chiusura abbiamo avuto meno costi ma il confronto non regge. Al 30 giugno parliamo di -270mila euro per quanto riguarda gli incassi e di -65mila per quanto riguarda le spese. L’impatto economico, alla fine dell’anno, si sentirà in modo forte. Senza aiuti, ci vorranno vent’anni a recuperare il buco». Sul lavoro quotidiano, poi, non mancano appesantimenti: «Noi dobbiamo garantire, per due settimane dopo l’accesso, la tracciabilità delle persone che sono state nelle nostre piscine. Questo comporta una grossa attività all’entrata, tra documenti e file che puntualmente si creano. Questo crea, qualche volta, malumori. Senza contare i tanti ragazzini che arrivano senza carta d’identità».
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