Per il coordinatore regionale di Slow Wine, Paride Cocchi: «La Romagna è realtà in grande fermento»
Riccardo Isola - Con l’uscita di tutte le guide dedicate al vino la fotografia che emerge è chiara: la Romagna sta acquistando sempre maggiore credibilità, riconoscibilità e attenzione della critica nazionale. C’è un fermento positivo e riconosciuto, che però mette in luce pregi e qualche nuova sfida per il grande e costante lavoro che si sta facendo nella «terra del Passatore», sia in vigneto sia in cantina. Per averne riprova abbiamo incontrato il coordinatore regionale di Slow Wine, Paride Cocchi di Castel San Pietro, che da circa tre anni guida i panel degustativi per la «Chiocciola». Sommelier Aies, di cui è stato anche presidente per sette anni, Cocchi constata, in primis, come «la Romagna è una realtà che dal punto di vista vitivincolo, a livello nazionale, sta riservando grandissime sorprese. Forse è una, se non la vera, sorpresa».
La si può quindi definire la Cenerentola del vigneto Italia?
«Sicuramente il mondo del vino romagnolo, in questi ultimi anni, ha fatto salti da gigante. Siamo passati da una situazione preoccupante, parlo di qualche lustro fa, a una dinamicità che sorprende e che affascina il mondo della critica nazionale. Se cinque o sei anni fa i miei colleghi quando portavo bottiglie di Sangiovese romagnolo ai panel degustativi facevanoun fuggi fuggi generale, oggi registriamo liste di attesa. Basti pensare che negli ultimi cinque anni i riconsocimenti arrivati ai romagnoli sono triplicati».
Quali sono i segreti di questo successo?
«Una interpretazione consapevole, reale, autentica di alcuni dei vitigni e quindi vini del territorio. Parlo in primis dell’Albana e del Sangiovese ma anche il Trebbiano, in questi ultimi anni, sta colpendo per la sua grande capacità di farsi interprete di un’idea efficace di territorio in calice».
Ma ci saranno dei punti deboli, delle situazioni da migliorare?
«Certamente. In primis sul Sangiovese bisogna che oltre ad avere una massa critica di prodotto più elevata, ma sempre con standard qualitativi elevati come stiamo riscontrando abbia, si potenzi il racconto territoriale legato alle Menzione Geografiche Aggiuntive. Sull’Albana non so se sia espressamente un punto debole, ma sicuramente sconta una difficoltà narrativa legata al fatto che le metodologie e le tecniche non creano una tipologia di riferimento. Questo può essere un punto di valore come uno di debolezza, staremo a vedere. Intanto però possiamo dire come all’interno di Slow abbiamo già delineato una sorta di Cru territoriale per l’Albana, che è Imola. Un territorio che, seppur nelle differenze stilistiche, sta veramente prevalendo in modo netto e incontrovertibile. Anche sul Trebbiano, seppur ancora con produzione e numeri molto inferiori rispetto agli altri due vitigni, riscontriamo grandissimi risultati. Questo può essere, anzi crediamo che sarà, una nuova risorsa per la diffusione del racconto di questo territorio».
In estrema sintesa a che cosa è dovuto questo piccolo Rinascimento enoico?
«Oltre ai livelli qualitativi raggiunti dai singoli vignaioli, c’è stata una grande rivoluzione di racconto e comunicazione. Strategie nate, in questo ultimo periodo, soprattutto con Modigliana-Stella dell’Appenino e poi seguite da altri territorio, per ultimo ricordiamo la neonata associazione di Brisighella - Anima dei tre colli. Ma non bisogna fermarsi qui, anzi bisogna proseguire su questa autenticità fatta di grandi sforzi siano essi produttivi, comunicativi, informativi e di relazione».
Dal punto di vista del rispetto ai canoni di Slow Food la Romagna come sta?
«Molto bene. Soprattutto se guardiamo al resto d’Italia. Il vigneto romagnolo è fortemente vocato al Bio, tra chi è in conversione e chi già da tempo ne rivendica la certificazione, e questo non è banale. Il tutto offrendo al mercato vini puliti, giusti e buoni».
Cosa serve per proseguire in questo percorso virtuoso?
«La Romagna deve sempre di più scucirsi l’abito del passato evidenziando sempre di più che la direzione intrapresa è completamente diversa. Sia a livello nazionale sia a livello internazionale serve, oltre alla massa critica di prodotto più elevata, una capacità di narrazione più efficace, come per esempio sta facendo Modigliana, anche perché il vino è diventato sempre di più un bene non essenziale sulle tavole, più che comprimario potremmo definirlo un altro commensale visti i prezzi, soprattutto in ambito ristorativo, che ha. Questo per tanti motivi, e quindi invogliare il mercato ad ascoltare il racconto romagnolo diventa sempre più difficile. Di strada da fare ce n’è tanta, ma vediamo come i vignaioli romagnoli, anche al di là di situazioni meteo-climatiche tutt’altro che favorevoli, si stiano comportando non solo bene ma lo fanno con grande capacità pervasiva».