Partorire ai tempi del Covid, la testimonianza di due mamme di Ravenna

Romagna | 31 Gennaio 2021 Cronaca
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Un letto vuoto in mezzo a separare il suo da quello della compagna di stanza. Un’ora al giorno, dalle 11 alle 12, per le visite, rigorosamente della stessa persona, in questo caso il compagno Giuseppe. Ilaria Cottignoli, che ha partorito il suo primo figlio, Giulio, il primo gennaio al «Santa Maria delle Croci», racconta nei dettagli che cosa significhi diventare mamma ai tempi del Covid: «Una nota positiva è il corso di accompagnamento alla nascita, che ho frequentato in settembre a Parco Teodorico, dunque all’aperto, a debita distanza dalle altre future mamme. Trovo molto valide anche le telefonate che arrivano, con costanza, dal consultorio: mi chiedono come sto, se sono triste, se ho bisogno di fare due chiacchiere, se voglio andare direttamente in sede, se il bimbo si attacca bene al seno. Mi sento seguita, anche se da lontano, in un momento nel quale passo le giornate in casa, senza vedere praticamente nessuno. Vivo in Darsena, appena esce un po’ di sole copro bene Giulio e faccio una passeggiata sul Candiano. Ma a parte questo, le giornate sono lunghe e di grande clausura». Per quanto riguarda il travaglio iniziato il 31 dicembre, Ilaria lo ha attraversato senza il compagno affianco, che è potuto entrare in Ostetricia solo a dilatazione ormai avanzata: «Dalle tre alle cinque del pomeriggio sono rimasta con le ostetriche e i miei dolori, tra le docce calde e la palla da fitness. In quei momenti due coccole o una parola di sostegno del mio compagno non avrebbero certo guastato. L’ho chiamato a ridosso dei festeggiamenti di Capodanno, lui era con mia sorella e mio cognato a bere Prosecco quando gli ho detto che era arrivato il momento di raggiungermi». Dopo il parto, avvenuto nella notte all’1,37, Ilaria è rimasta ricoverata insieme a suo figlio fino al 4 gennaio: «Io sono stata sottoposta a un piccolo intervento e Giulio è stato trasferito in Neonatologia. Allora ho chiesto, per raggiungerlo più facilmente, di rimanere in ospedale. Siccome non c’erano emergenze e il posto non mancava, mi hanno detto sì. In alternativa, per rientrare avrei dovuto fare il tampone e comunque andare avanti e indietro ogni tre ore: pur nella grande solitudine, è andata meglio così. Ma mai avrei pensato, nella vita, di diventare mamma in mezzo a tutte queste limitazioni». Venti giorni dopo la nascita di Giulio, sempre a Ravenna è stata la volta di Isabel, arrivata dopo un’induzione di travaglio. A raccontare il suo arrivo la mamma, Zainab Shahine, 38 anni: «Sono stata trattenuta in ospedale durante una visita nella quale hanno constatato che ero molto stressata e con la pressione alta. Non me l’aspettavo, ho sofferto molto il fatto di non avere accanto il mio compagno Lucio, in quel momento. Anche durante le prime tre ore e mezzo di travaglio, lui non è potuto restare accanto a me. Quando mi stavano per portare in sala parto l’ho chiamato ed è riuscito a vedere l’ultima mezz’ora di contrazioni e spinte». Per quanto sapesse che, a causa del Covid, non avrebbe potuto condividere le prime fasi del travaglio col compagno, per Zainab non è stata una bella esperienza: «Mi sono mancate le sue carezze, mi è mancato il suo supporto. Le ostetriche mi sono state davvero vicine, mi hanno seguita passo a passo e fatta sentire importante. Chiaro, non è la stessa cosa». Più che durante i due giorni di ricovero, quando il compagno ha potuto far visita per due ore in tutto allla neomamma, Zainab ha sofferto la gravidanza: «Oltre al fatto di avere lavorato fino all’ultimo, visto che sono una libera professionista, mi è mancato il fatto di essere coccolata dagli altri. In genere quando si è incinta si è al centro dell’attenzione e dell’amore delle persone care, nel mio caso invece la distanza faceva da sfondo a tutto. Ci sono stati momenti di grande solitudine. A questo, si aggiunge il fatto che ho solo seguito un corso pre-parto online, di quelli in versione pre-confezionata, senza interazione. E devo ammettere che sono arrivata al parto impreparata. Ora sto bene, sono abbastanza su di morale. Ogni tanto piango, credo sia normale. Dal consultorio mi chiamano e mi chiedono come stiamo io e Isabel. Trovo sia un servizio importante, peccato che per la gravidanza io non abbia scelto il consultorio ma un ginecologo privato, altrimenti il mio compagno non avrebbe potuto assistere alle ecografie. Oggi so che ci sono persone molto professionali e attente, in quella realtà». (s.manz.)
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