Otto marzo, gap occupazionale, storie di giovani donne romagnole che lavorano all'estero

Romagna | 08 Marzo 2023 Cronaca
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Fabrizia Montanari - Sono il 23% i laureati fra i 25 e i 39 anni emigrati dal territorio regionale per lavorare all’estero secondo i dati della Fondazione Nord-Est, per un totale di 1559 persone nel 2020 a fronte delle 419 partite nel 2011, 400 in più. Siamo davanti a una «fuga di cervelli» dunque? Non sembrerebbe, visto che il peso di queste partenze in Emilia-Romagna è pur sempre minore rispetto ad altre regioni italiane, tuttavia è dello scorso 14 febbraio l’approvazione di una legge regionale, unica in Italia (alla cui stesura ha contribuito anche Art-Er, società della Regione che si rivolge agli emigrati con il progetto International Talents) per attrarre e trattenere talenti con elevata specializzazione, che prevede investimenti per oltre 115 milioni di euro per incentivare nuove assunzioni, percorsi di formazione, agevolazioni alle imprese, servizi di welfare (nidi, scuole, alloggi, conciliazione dei tempi di vita e lavoro). Abbiamo raccolto le testimonianze di alcune «espatriate» faentine e ravennati, ponendo loro tre quesiti: emigrare è stata una scelta o una necessità? Di cosa si occupa attualmente? A quali condizioni sceglierebbe di rientrare in Italia?

GIULIA MENICHETTI (RAVENNA)
La ravennate Giulia Menichetti, da Boston, 36 anni, afferma: «Per molti laureati in fisica come me l’estero è fondamentale per accedere ad un’offerta più ampia di posizioni economicamente competitive e compatibili con il percorso formativo. Ho deciso di trasferirmi qui per immergermi in uno degli ambienti scientifici mondiali con più fermento, dove le risorse e la competizione sono alte e ogni giorno si incontrano talenti da tutto il mondo. Da fine 2016 sono a capo del progetto Foodome che si occupa di caratterizzare il nostro cibo con gli stessi strumenti e la stessa precisione che viene usata per creare e studiare i farmaci. Il nome assomiglia volutamente al progetto Genoma, perché miriamo a comprendere meglio tutte quelle malattie dove la dieta e non la genetica è il fattore predominante e si svolge fra il Network Science Institute di Boston, dove mi sono specializzata nello studio dei sistemi complessi, e la facoltà di medicina di Harvard, dove la scienza delle reti viene applicata per studiare l’insorgere delle malattie a livello molecolare e dove disponiamo di dati su centinaia di migliaia di pazienti. Per quanto riguarda rientrare in Italia, i singoli individui, anche se titolati e opportunamente remunerati, non fanno necessariamente la differenza se non c’è nel Paese un sistema ricettivo pronto ad accoglierli. Un piano di finanziamenti mirato a creare un ambito scientifico italiano, ma con prospettiva e mobilità internazionale e con rientri coordinati in concomitanza con le eccellenze locali, sarebbe indubbiamente molto attraente».

RITA CIMATTI (FAENZA)
Rita Cimatti, faentina, 28 anni: «Dopo aver superato la selezione all’interno del programma Overseas dell’Università di Bologna, ho frequentato l’ultimo anno della laurea triennale in Relazioni Internazionali negli Stati Uniti, a Los Angeles e ho completato poi il mio percorso di formazione all’Università del Sussex, a Brighton, con una borsa di studio. Oggi lavoro in questa città in un’azienda di consulenza che valuta le politiche pubbliche di varie istituzioni, come il Governo inglese o la Commissione europea e mi occupo soprattutto di ricerca, analisi e sostegno strategico in ambito di istruzione, green economy e fondi alla ricerca. Tornerei in Italia se ci fosse una più ampia offerta di opportunità lavorative e se gli stipendi fossero competitivi con il resto d’Europa».

LETIZIA BUCCI (FAENZA)
Nata e cresciuta a Faenza anche Letizia Bucci, 26 anni: «Mi trovo in Olanda per scelta, durante un’esperienza estiva a Singapore ho conosciuto il mio attuale compagno e l’ho seguito nel suo paese. Ora lavoro in un hotel a Rotterdam, vista la mia formazione in Hotel Management e ho un contratto a tempo indeterminato. Non ho messo proprio in conto di tornare, anche se il lavoro che svolgo si può fare ovunque, specie in un paese a vocazione turistica come l’Italia, che tuttavia mi attrarrebbe assai di più se l’alberghiero, soprattutto in Romagna, non venisse promosso sempre e solo come opportunità stagionale».

ELENA SAVINI (FAENZA)
Dalla Biblioteca Reale del Belgio di Bruxelles arriva la voce di Elena Savini, 31enne faentina: «Volevo fare esperienza altrove e avendo avuto l’opportunità di completare i miei studi all’estero, sono partita e sono rimasta qui ad occuparmi di ricerca, valorizzazione della collezione e esposizioni nel dipartimento dei manoscritti e stampati antichi. La voglia di tornare c’è, ma aspetto un’opportunità interessante e anche un cambiamento di prospettiva: in Italia mancano i diritti, occorre ancora difendere uguaglianza, inclusione e diversità».

CLIO AGRAPIDIS (RAVENNA)
Laureata in fisica anche la ravennate Clio Agrapidis, 31 anni: «Nel 2015, decidendo di fare il dottorato post-laurea all’Università di Padova, mi sono scontrata con un sistema ridottissimo di borse di studio e dinamiche politiche interne, mentre all’estero mi è stato offerto un contratto lavorativo remunerato all’istituto Leibniz di Dresda per la ricerca di stato solido e materiali e nel 2019 mi è stata offerta anche una posizione post-dottorato da ricercatrice all’università di Varsavia. Insieme a un collega berlinese, divenuto nel frattempo mio marito, siamo poi andati a vivere insieme a Varsavia, dove hanno programmi per coppie e anche lui ha trovato lavoro all’istituto di Fisica dell’Accademia delle Scienze Polacche e qui siamo tuttora, almeno fino a fine anno, poi pensiamo di trasferirci, ma non in Italia, bensì a Vienna, città cosmopolita a metà strada tra Ravenna e Berlino».

VALERIA CALDERONI (FAENZA)
Da Berlino parla Valeria Calderoni, faentina, 39 anni: «Mi sono trasferita a Berlino nel 2012, per ragioni personali - frequentavo un ragazzo di Faenza che abitava già qui - in parte lavorative, non tanto dettate dal mio percorso formativo quanto dal trattamento ricevuto da parte dei datori di lavoro in Italia. Il lavoro al centro di ricerca dell’università americana dove avevo appena terminato un master e per la quale avevo già lavorato durante gli studi, non mi permetteva di pagarmi neppure una stanza in affitto a Bologna e non mi dava diritto a ferie o malattia e così quando l’amministrazione ha aspettato fino all’ultimo per rinnovarmi il contratto per un secondo anno, ho deciso di tornare in Germania. Al momento mi occupo di project management e web analytics per un’agenzia specializzata in sviluppo web e consulenza marketing per organizzazioni non governative, con sedi a Berlino e Zurigo. Mi trovo bene, il rapporto con colleghi e clienti è rilassato e piacevole e viene data importanza alla soddisfazione personale, anche se il lavoro è sempre molto. Le buste paga certo non sono stellari nemmeno a Berlino, ma mi pare che l’attenzione ai diritti del lavoratore sia più alta rispetto all’Italia, grazie a normative più stringenti e il lavoratore ha più potere negoziale. Al momento troverei difficile tornare, ma non lo escluderei in futuro. Per farlo però vorrei avere accesso a condizioni comparabili a quelle che ho ora in termini di sicurezza sociale e contratto di lavoro; la possibilità di lavorare da remoto potrebbe persuadere una parte di espatriati a tornare a lavorare per l’Italia, anche se non necessariamente dall’Italia, e sarebbe già un buon inizio».

*(Si ringraziano Eleonora Sette di Art-Er, Sara Reali di Confesercenti Ravenna e Sara Stampa docente per il loro contributo, ndr) 
 
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