Omotransfobia, la legge Zan rallenta e divide. Anche nel Ravennate

Romagna | 22 Maggio 2021 Cronaca
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Silvia Manzani
Reclusione fino a 18 mesi o multa fino a 6mila euro per chi commette atti di discriminazione fondati «sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». Carcere da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza per le stesse ragioni. Sono solo alcune delle novità introdotte dal disegno di legge Zan dal cognome del deputato del Pd, nonché attivista per i diritti delle persone Lgbtqi, Alessandro Zan. Dopo l’approvazione alla Camera avvenuta nel novembre 2020, il ddl contro l’omotransfobia è fermo alla Commissione giustizia del Senato presieduta dal leghista Andrea Ostallari ma è di nuovo al centro del dibattito politico, non solo dopo il discorso di Fedez del primo maggio. La Lega e altre forze del centrodestra, come Forza Italia e Fratelli d’Italia, hanno definito il provvedimento non prioritario, mentre a caldeggiarne l’approvazione, oltre al Pd, ci sono M5s, Italia Viva e Leu. Le ultime novità rispetto all’iter legislativo riguardano il fatto che il 18 maggio la Commissione giustizia di Palazzo Madama non ha votato la separazione del ddl sostenuto dai giallorossi da quello a firma Ronzulli-Salvini, il che significa che i due testi dovranno essere esaminati insieme, cosa che potrebbe significare nuovi rallentamenti. Guardando al ddl Zan, tra le novità previste non ci sono solo quelle «punitive». Spicca l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia (17 maggio), il lavoro delle scuole di ogni ordine e grado per sensibilizzare bambini e ragazzi sulle discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale, lo stanziamento di 4 milioni di euro all’anno per i centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, per prestare assistenza legale, sanitaria, psicologica, e anche vitto e alloggio alle vittime dei reati di odio e discriminazione. 

«I DIRITTI NON HANNO COLORE»
Anche in provincia di Ravenna la questione è calda e sentita, in un senso o nell’altro. Secondo il segretario provinciale del Pd Alessandro Barattoni, per analizzare nel giusto modo il ddl bisogna chiedersi che cosa significa vivere in uno stato di diritto: «Penso che tutti, infatti, dovremmo fare lo sforzo di analizzare la questione dal punto di vista di chi ogni giorno è vittima di discriminazione e di violenza, e chiederci se ci  va bene vivere in un paese che consente tutto questo. Lo scopo del ddl è quello di garantire a tutti, senza distinzione, di vivere in un paese che in caso di violenza non si volta dall’altra parte e di non avere paura di amare chi si vuole e di essere se stessi. Mi spiace che tanti, soprattutto a destra, vedano questo ddl come una questione divisiva. Per noi, invece, è un’occasione fondamentale per includere, per ricucire un tessuto sociale che, complice una crisi ormai perenne, ha perso il suo lato più umano e solidale e che scarica purtroppo sempre più spesso sulle minoranze le sue frustrazioni». Per Barattoni, lo stallo del disegno di legge in Senato indica proprio quanto il tema divida: «Tutte le forze politiche, “laicamente”, dovrebbero fare un passo indietro e smetterla di utilizzare il ddl come bandierina ideologica utile solo a estremizzare i due poli. I diritti non hanno colore politico, bensì dovrebbero essere il comune denominatore di tutte le forze democratiche di questo paese, come la Costituzione ci insegna. Dalle dichiarazioni di alcuni esponenti del centrodestra, la battaglia parlamentare temo si protrarrà ancora. Il Pd, quale maggior partito del centrosinistra, deve continuare a portare avanti questa “battaglia di civiltà” senza indugi e tentennamenti. Le parole del segretario Letta sono state chiare e credo indichino anche la necessità di perseguire la mobilitazione in mezzo alle persone, perché i diritti sociali che oggi sono figli dell’emergenza sanitaria e economica della pandemia devono viaggiare insieme ai diritti civili».

«BAVAGLIO PREVENTIVO»
Posizione ben diversa quella di Jacopo Morrone, parlamentare della Lega e segretario per la Romagna: «Il vero obiettivo del ddl Zan non è quello, condivisibile, di introdurre pene più severe per chi discrimina o usa violenza sulla base di pregiudizi legati al sesso, all’etnia o al credo religioso. Questo testo, al contrario, è a tutti gli effetti un manifesto a sostegno della dittatura del politicamente corretto, con il bavaglio preventivo imposto alla libertà di espressione e di opinione e a chi non si adegua al pensiero unico arcobaleno, delegittimando socialmente chi non concorda con le adozioni gay, con l’utero in affitto o con la diffusione della teoria gender nelle scuole. Peccato che per arrivare a questo scopo si sia usata strumentalmente la condivisibile battaglia contro discriminazioni e intolleranza. Legittimo, per noi, contrapporre al testo “bandiera” Zan il disegno di legge Ronzulli-Salvini che prevede “circostanze aggravanti nei casi di violenza commessa in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità della persona offesa”». Morrone ribadisce che quella del centrodestra non è una posizione contraria ai diritti degli omosessuali: «Chi affermasse una simile assurdità lo farebbe solo per un becero pregiudizio nei nostri confronti. La nostra è una opposizione al testo del ddl Zan, al quale ci opporremo in tutti i modi e in tutte le sedi, cercando di spiegare quali siano i pericolosi risvolti. Dobbiamo anche evidenziare la spregiudicatezza e la furbizia del Pd e della sinistra che hanno portato avanti, proprio in questo periodo di gravi difficoltà per l’emergenza sanitaria e economica, il dibattito su questo tema, forzando sui punti divisivi anziché puntare all’accordo. Ci confortano, tuttavia, le opinioni di forte critica nei confronti del testo Zan di numerosi opinionisti e intellettuali della sinistra e dell’universo omosessuale».
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