Omicidio Desiante, la difesa: «sono state tralasciate piste alternative, prove cucite addosso al nostro assistito»

Romagna | 25 Novembre 2019 Cronaca
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Al termine della requisitoria del pm Vincenzo Antonio Bartolozzi, nel processo che vede Constantin Madalin Palade accusato di omicidio aggravato dalla crudeltà per la morte di Rocco Desiante avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 ottobre di un anno fa, c'è stata l'arringa del difensore, Carlo Benini che in poco più di un'ora ha cercato di insinuare più di un dubbio sulla ricostruzione del crimine proposta dalla Procura. A partire dall'atteggiamento del suo assistito definito dall'accusa algido e indifferente. «Palade è molto giovane e grazie al lavoro di questa difesa e di sua madre di Palade abbiamo cercato di tranquillizzarlo ». Benini ha sottolineato come «la Procura ha trovato un colpevole e gli ha cucito addosso le prove con un'indagine che ha tralasciato tutte le piste alternative a Palade». Ha spiegato come il giovane si sia avvalso della facoltà di non rispondere non conoscendo bene l'italiano e «visto che dopo essere stato sentito dai carabinieri, qualche giorno dopo il delitto, si è trovato in carcere sospettato di omicidio ha pensato di non dire più nulla».

Ha cercato di demolire il movente legato ad un debito di droga «in casa sono stati trovati 1200 euro in camera da letto» dunque la vittima avrebbe potuto pagare. Ha spiegato che dei 138 contatti tra chiamate e messaggi sul cellulare registrati in poco più di un mese tra vittima ed imputato «ben 123 erano partiti da Desiante dunque non ci pare così strano che, a differenza di altri amici, nei giorni successivi al decesso di cui nesuno era ancora a conoscenza, Palade non l'abbia cercato». Inoltre ha sottolineato come l'imputato fosse solito cancellare chat e chiamate fatte e ricevute dalle persone cui cedeva droga «e gli accertamenti sul suo cellulare (quello della vittima non è stato ritrovato ndr) non hanno potuto dirci quando sia avvenuta la cancellazione della chat whatsapp con Desiante, se la notte della sua morte o nei giorni successivi». Nulla di incriminante, dunque, secondo la difesa che ha anche spiegato come Palade possa essersi sbarazzato di vestiti e scarpe che indossava quella notte «per paura, cosa pittosto nomale se sai che spacci droga, è morta una persona in una casa che hai frequentato e che non è escluso che gli inquirenti te ne chiedano conto». Per quanto riguarda la traccia ematica di Desiante rinvenuta sullo stipite della porta di Palade unita al dna di quest'ultimo e, in maniera maggioritaria, di una terza persona ignota, la difesa ha spiegato che a inizio settembre Desiante aveva fatto a pugni con un uomo nella Caffetteria della piazza di Castiglione e che era stato proprio Palade a soccorrerlo sanguinante e portarlo all'ospedale. «Considerato che non è possibile stabilire quando quella traccia è stata lasciata sulla porta, non possiamo escludere che sia stato proprio a settembre, quando vittima ed imputato sono andati a casa di quest'ultimo dopo l'ospedale». Così come è impossibile sapere quando l'imputato ha lasciato sullo schienale di una sedia in casa di Desiante il suo dna «può essere stata la sera dell'omicidio visto che la vittima aveva organizzato un festino a casa cui aveva partecipato anche Palade che, per sedersi, aveva di certo toccato lo schienale». Sangue di Desiante è stato trovato su quel dna e i Ris non hanno cercato altre impronte su quella sedia. In merito alla lite di settembre, Desiante aveva sporto denuncia spiegando ai carabinieri di aver paura del suo aggressore.

Ma la prova che sia stata un'altra persona a compiere la mattanza, secondo la difesa si trova in una traccia ematica repertata sull'interruttore sotto il citofono in casa di Desiante. «Non è stata cercata alcuna corrispondenza per quella traccia, eppure chi frequentava la casa della vittima sapeva che aveva le utenze staccate dunque era impossibile che cercasse di accendere la luce, inoltre le chiavi della vittima sono state trovate in terra vicino alla porta ed una chiave spezzata nella serratura». Come se qualcuno avesse cercato di uscire in tutta fretta da un appartamento che non conosceva. A parere della difesa «non vi è alcuna prova scientifica che il nostro assistito abbia compiuto il delitto nè alcuna prova certa che possa giustificare una condanna».
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