Negli anni ‘70 il Dams fu una fucina di idee e fermenti: le interviste ai ravennati

Romagna | 14 Aprile 2021 Cultura
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Elena Nencini
Benedetto Marzullo ebbe il merito di inventare il Dams, il corso di laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, nato su suo impulso a Bologna nel 1970, grazie al quale per la prima volta l’insegnamento dei linguaggi artistici e dei mass media, in altre parole la modernità, fecero ingresso organicamente nelle Facoltà umanistiche. Nel 1975 Marzullo lascia ogni responsabilità nella gestione del nuovo corso di laurea. Finisce così l’età d’oro del Dams e inizia un’altra stagione.
Ad insegnare in quegli anni intellettuali del calibro di Renato Barilli, Furio Colombo, Umberto Eco, Giuliano Scabia, Gianni Celati, Luciano Anceschi, Ezio Raimondi, Tomás Maldonado, Paolo Fabbri, Luigi Squarzina. 
Tra gli studenti, diventati protagonisti della vita culturale del nostro paese, troviamo nomi come Andrea Pazienza, Roberto ’Freak’ Antoni, Pino Cacucci, Patrizio Roversi, Enrico Scuro, Igor ’Igort’ Tuveri, Paolo Fresu. 
Ma non sono mancati diversi ravennati, ecco i loro ricordi.

PANEBARCO «MATRICOLA 90»
Il fumettista Daniele Panebarco (indimenticabile il suo investigatore Big Sleeping), è stato uno dei primi a frequentare il Dams a Bologna nel 1970, anno in cui la scuola bolognese aprì. Un’esperienza che lui definisce ancora «incredibile», nonostante ben presto affiancasse lo studio alla realizzazione di strisce satiriche, che gli permisero di vincere un concorso istituito dal quotidiano Paese Sera, nel 1973. Nel 1976 entrerà nella redazione del mensile Il Mago, dando vita al suo personaggio più conosciuto, Big Sleeping.
Cosa si ricorda di quel primo anno? 
«Avevo il numero 90 di matricola, eravamo ancora in pochi. C’era un’atmosfera molto interessante, vivace, anche se poi mi sono fermato a 6 esami dalla laurea. Avevo altre cose per la testa. Pensavo ai fumetti e il Dams non era il posto più adatto. Umberto Eco mi diceva che i miei disegni non erano un granché; anche se gli dispiacque molto quando decisi di interrompere».
Chi ricorda dei professori?
«Eco insegnava comunicazione di massa, con un corso sul romanzo d’appendice dell’Ottocento molto interessante, invece a semiotica  non ci sono mai andato. Non era nei miei interessi. Poi c’era Luigi Squarzina con istituzioni di regia, Furio Colombo, per la tecnica del linguaggio radiotelevisivo, Gianni Polidori per scenografia. Ogni tanto veniva anche Nanni Loi, mentre Giuliano Scabia lavorava con la psichiatria e i teatri di strada, Tomàs Maldonado insegnava progettazione ambientale e design, Barilli insegnava estetica, ma rifiutava l’esame di gruppo, che andava molto di moda all’epoca. C’erano nomi notevoli». 
Come era Eco come professore?
«C’era un clima molto amichevole con i professori, si usciva, si mangiava insieme. Parlavo anche di fumetti con Eco, ma mi diceva che bisognava andare all’Accademia per quelli e infatti me ne sono andato. All’epoca lavoricchiavo alla Glaxo come rappresentante di dietetica per l’infanzia, tanto che durante le occupazioni al Dams distribuivo i biscotti alle mamme con i bimbi. Ce ne erano tante all’epoca, chissà se se lo ricordano l’episodio dei biscotti?!. Da Bologna conobbi Luigi Bernardi de L’isola trovata, poi Vittorio Giardino che iniziava allora la carriera, un mondo più attinente ai miei interessi e al fumetto Abbiamo fatto un bel gruppo». 
Con Eco rimase amico?
«Si, specie d’estate, in montagna. Si parlava di tante cose anche se io mi sentivo un po’ fantozziano, cioè io ero Fantozzi e lui il mega intellettuale eccelso. Era un rapporto così».
Si ricorda di lavori fatti al Dams?
«Avevo fatto dei tazebao che venivano affissi nell’atrio della facoltà: dovrebbero essere ancora lì. Adesso stanno organizando una mostra per i 50 anni e mi hanno chiesto di un lavoro che avevo fatto all’epoca Notre Dame de Paris, ma neanche me lo ricordavo. Chissà dove l’ho messo, c’era anche una caricatura  che mi aveva fatto Eco, ma non riesco a ritrovarla». 

Galeati :«Da Joan Baez a Catherine Deneuve»
Nevio Galeati, è stato giornalista per Il Resto del Carlino, per l’Unità e per Repubblica, da diversi anni è il direttore artistico del Festival GialloLuna NeroNotte, dedicato alla letteratura di genere. Ha scritto anche alcuni libri dedicati proprio al genere giallo.
Ha frequentato il Dams proprio nell’epoca d’oro, laureandosi nel marzo del 1976; Claudio Marra, suo compagno di corso e oggi docente al Dams, vorrebbe realizzare una mostra documentaria proprio per i 50 anni dell’istituzione, ma i problemi legati alle restrizioni Covid stanno rallentando tutto. 
Come avete pensato all’idea di questa mostra e perchè?
«L’idea è stata di Marra, con cui sono rimasto amico nel tempo. Vorremmo fare una mostra documentaria sui primi anni avventurosi del Dams, sul modo di lavorare, su che tipo di università ‘rivoluzionaria’ fosse. L’idea era di fare una grande università dedicata alla cultura più popolare era veramente rivoluzionaria all’epoca». 
Quando ha frequentato il Dams?
«Mi sono iscritto nel 1971, mi dovevo laureare nel 1975, che poi è diventato  marzo del ‘76 con una tesi su “Il dirottamento ideologico della grafica di consumo” con il prof. Lamberto Pignotti. Una tesi a due mani con Tomaso Mario Bolis».
Cosa si ricorda di quegli anni?
«Sono stati anni in cui ho studiato e lavorato con grande piacere e intensità. C’era un grande fermento, tante ore lunghissime di teoria, non si scaldavano i banchi come si diceva, ma c’era anche tanta sperimentazione pratica: incontri con registi teatrali, cinematografici, artisti. Mi ricordo un incontro incredibile con Carmelo Bene che aveva fatto uno spettacolo al comunale di Bologna. Poi venne il regista Francesco Rosi a farci vedere i primi film. Addirittura Bertolucci ci porto l’anteprima di «Ultimo tango a Parigi». Tra i docenti di teatro avevo un grande regista come Luigi Squarzina. Era l’incontro tra la necessità di fare teoria e la pratica: Eco, agli esami, ti sbatteva fuori se sbagliavi una frase. Non ti dava altre possibilità, dovevi tornare l’anno successivo. Era molto severo, anche se molto divertente». 
Incontri memorabili?
«Sicuramente la cantante Joan Baez, appena tornata dal Vietnam, venne a Bologna per incontrare Gianni Morandi per la canzone “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stone”. Passò anche al Dams per farci una lezione. E poi mi ricordo una bellissima Catherine Deneuve, che nel 1974, girò con Mauro Bolognini, 0alcune parti proprio al Dams, del film «Fatti di gente perbene» dedicato al delitto Murri. Per noi era normale che poi facessero un incontro con gli studenti. O ancora mi ricordo un pranzo con una giovanissima Carla Fracci: c’era sciopero al Comunale e allora lei venne a pranzo con tutto il suo staff e noi studenti».
Di quale progetto ‘rivoluzionario’ si ricorda?
«Sicuramente quello con il prof. Scabia, si occupava di teatro popolare e ci porto all’ospedale psichiatrico di Trieste dove c’era Basaglia per fare una sperimentazione di teatro e animazione con i pazienti, alla fine del ‘72. E’ stata un’esperienza molto importante per capire cosa volevi fare da grande. Ne nacque il progetto del Marco Cavallo, una scultura di cartapesta e legno, che doveva contenere nella sua pancia i desideri dei ricoverati. Io ho lavorato proprio a preparare la cartapesta».
Si facevano anche dei viaggi-studio?
«Verso la fine del primo anno, a primavera del 1972, andammo al Festival del teatro greco classico a Siracusa, grazie a delle borse di studio; poi al Festival dei due Mondi di Spoleto, a Firenze invece siamo riusciti a vedere una messa in scena del Berliner Ensemble, con le indicazioni di regia di Bertolt Brecht».
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