Motociclismo, la storia del faentino Tarozzi: "Sfidavo Vinales, Rins e Alex Marquez in pista: oggi faccio l’agricoltore nell’azienda di famiglia"

Romagna | 28 Maggio 2021 Sport
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Tomaso Palli
La telefonata preliminare si è interrotta dopo pochi minuti. Mattia Tarozzi, agricoltore faentino classe 1991 ma con un passato da pilota di moto, era nel campo e il segnale è mancato, ma con l’appuntamento per l’intervista già in tasca: domenica pomeriggio dopo l’impollinazione dei kiwi. 
Mattia, è riuscito a… impollinare?
«Sì, ero al campo alle 5. Il maschio del kiwi non lo fa e serve uno strumento che spruzzi il polline ma il riscontro ci sarà più avanti ed è il bello dell’agricoltura, non si vede mai nulla subito».
Bilancio dell’annata?
«Negativa, da noi il danno è circa del 50%. Finito il freddo, ora arrivano grandine e vento che sono anche peggio».
In moto ha ottenuto risultati importanti ma su internet c’è poco o nulla. Come mai?
«Non sono mica stato Campionato del Mondo (ride, ndr)».
Allora ci dica: come ha iniziato?
«In campagna, da molto piccolo, con ogni cosa a motore. A 5 anni Piaggio Ciao e minicross, poi il Fifty a quattro marce che mi ha lasciato un buco nella gamba e i miei primi sette punti: ho iniziato presto in moto e a farmi male (sorride, ndr)». 
Quando le gare?
«Relativamente tardi. A circa 9 anni, la prima volta in pista a Galliano (Forlì, ndr) e poi le prime garette fino al campionato italiano ed europeo di minimoto vinto nel 2004. Altri piloti si spostavano in Spagna per iniziare con l’80cc ma noi non avevamo quell’opportunità e ho continuato in Italia». 
Poi le moto più grandi… e i primi infortuni.
«A 14 anni sulla 125cc: una Honda per correre il Trofeo Honda e il campionato italiano. Nei test a febbraio, mi ruppi l’omero tornando in pista solo ad aprile. Feci altre due gare prima di farmi molto male». 
Come?
«A Misano, dopo una gran partenza ero quarto. Ho esagerato passando due o tre piloti al Carro e sono caduto rimanendo in pista e mi passarono sopra la gamba sinistra: frattura scomposta ed esposta di tibia e perone. Un colpo durissimo, soprattutto a 14 anni, che mi ha compromesso un po’ tutto». 
L’inizio del calvario?
«Non era una frattura così grave da pensare ad uno stop tanto lungo (quasi tre anni, ndr) ma il problema fu l’infezione. Fissatore esterno, chiodi interni e plastiche per la pelle marcia, alla fine mi hanno dovuto tagliare l’osso prima di un altro fissatore per allungarlo, ogni giorno, con un giro di chiave. L’ho tenuto sedici mesi e dopo undici operazioni sono tornato a camminare».
E poi in moto?
«Nel 2008 ed è stato un po’ come ripartire da zero perché non muovevo la caviglia sinistra, quella del cambio. Ho avuto bisogno di tempo per adattarmi al cambio a destra e mi aiutò la moto da cross».
Idea di smettere?
«Era più la voglia di tornare ma nel 2009 qualche dubbio in più c’era. Facevo fatica, i risultati non arrivavano e non volevo correre a vita nel campionato italiano, non è nel mio carattere».
Il Mondiale è arrivato con due wild card prima in 125cc (2010) e poi in Moto2 (2011).
«Avrei preferito restarci, ma notai parecchio la differenza: arrivare da altri campionati è difficile, serve tempo per adattarsi. Poi, è chiaro, ci sono i fuoriclasse come Pedro Acosta quest’anno in Moto3».  
Nel 2010 chiude quarto un ottimo Cev125 con il terzo posto ad Albacete dietro a Viñales e Rins, oggi in MotoGp.
«Anche quell’anno mi feci male e in più ero iscritto sia all’italiano che allo spagnolo con tante prove che coincidevano. Non avrei vinto il campionato ma è stato un risultato importante in un campionato di livello molto alto».
C’erano anche Oliveira, Alex Marquez, Antonelli, Miller… erano già i più forti?
«In quell’anno sono migliorato parecchio ma i vari Oliveira e Viñales avevano una marcia in più. Il fratello di Marc Marquez non sembrava un fenomeno, ma c’è chi ha talento puro e chi solo talento ma con l’allenamento può arrivare. Serve poi una buona dose di fortuna». 
Cosa che a lei è sempre mancata. Ma ci sono stati contatti per il Mondiale?
«Nel 2005, dopo l’infortunio, mi contattarono tre team per la stagione successiva in 125cc. Non guarivo e non si è fatto nulla. Il treno buono era passato». 
Oggi ha chiuso col motorsport?
«Non ho più sentito nessuno, non ho mai rimesso il sedere su una moto da pista, l’unica che ho è quella da cross, né sono andato a vedere una gara. Forse un po’ mi dava fastidio ma è un mio modo di fare: nel 2012, dopo l’ennesimo infortunio, decisi di staccare completamente». 
Un altro infortunio?
«Mi ero crepato l’astragalo, un ossicino nella caviglia della solita gamba. Potevo riprendere dopo un paio di mesi ma ho preferito fermarmi». 
E così ora lavora nel campo?
«Sì, sono andato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia con i miei genitori. È stato naturale: gli orari che facevo per gli allenamenti sono riportati oggi nel lavoro di agricoltore».
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