Monte Lavane, un’escursione sulla massima vetta dell’Appennino faentino, con i bucaneve già spuntati

Romagna | 10 Febbraio 2020 Cronaca
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Sandro Bassi - Complici le temperature elevate di gennaio, la natura si è già messa in moto. Se nello scorso 2019 a Faenza sono giunti a maturazione i banani e le nespole giapponesi, da questo 2020, almeno a giudicare dagli inizi, c’è da aspettarsi un’altra serie di anomalie. 
Intanto sono già fioriti i bucaneve, le calendule, i narcisi bianchi e le giunchiglie gialle, le primule e le viole e naturalmente gli ellebori (ma questi ultimi sono spuntati già ai primissimi di gennaio e non fanno testo). Fra gli alberi, sono fioriti i primi Prunus e i mandorli, fra cui a Faenza quello bellissimo, contorto come una scultura, grande come la casa che affianca e altrettanto vecchio, di via Filanda Nuova.
Quello delle fioriture precoci, al di là dell’inquietante, ennesimo sintomo di riscaldamento climatico, può essere un buon «pretesto» per un’insolita escursione, o meglio, per darsi una meta, che in questo caso è il «tetto» dell’Appennino faentino, il Monte Lavane che con i suoi 1241 metri di quota è il nostro Everest e dove da oltre dieci giorni sono già fioriti i primi bucaneve. In altre parole, se anomalia deve essere, almeno godiamocela.

ITINERARIO
Da Marradi si prosegue sulla ex statale di fondovalle per altri 2 km, fino cioè alla frazione Biforco dove si prende a sinistra la strada per Campigno. Raggiunta quest’ultima (altri 7 km), si prosegue per un altro breve tratto, lasciando l’auto nel viale di tigli che precede l’ultimo borghetto abitato, Farfareta. 
Qui ci si incammina, incontrando subito, all’ingresso del borgo, un bivio dove andiamo a destra (sentiero Cai 541) per voltare a sinistra 50 metri dopo prendendo così il «sentiero dei bramiti» (Cai 533 A) che segnerà la direttrice di tutta l’andata. E’ un percorso ripido, a tratti faticoso, ma in ambiente naturale gratificante, fatto di boschetti (querce, castagni, carpini), radure con biancospini e prugnoli, affioramenti rocciosi arenacei con ginestre e felci aquiline.
Si consiglia di salire piano, perché la salita è abbastanza lunga (quasi 2 ore) e val la pena godersi il panorama più che sforzarsi di impiegare dieci minuti in meno. Una tregua si presenta raggiunti i 1070 metri circa di quota (siamo partiti da 650), quando cioè la dorsale comincia a spianare nei pressi di Poggio Giuliano e dalla nostra sinistra arriva il sentierone 533 proveniente dal rifugio omonimo, relativamente vicino (2-300 metri) e ben visibile salvo nebbioni.
Il tratto che ci aspetta ora è il più bello, esposto com’è verso sud e aggettante (ma di norma senza pericoli, sempre che non ci sia ghiaccio) sui burroni del fosso Costanmarcolo che sprofonda alla nostra destra. Il sentiero corre su pittoresche cengette rocciose - seguire sempre, con attenzione, i segnavia - e va infine a costeggiare le faggete che ammantano tutto il versante opposto, quello rivolto a nord; faggi cespugliosi e contorti dai venti ci circondano anche su questo versante, assieme a sorbi montani, perastri, ginestre dei carbonai, maggiociondoli. Sotto i faggi di cresta occhieggiano bellissimi i bucaneve. Si arriva infine in cima al monte dove a quota 1190 sorge la Capanna del Partigiano, in sasso, ottocentesca, restaurata una decina d’anni fa e dotata di piccolo focolare, tavolo, sedie e due brandine in legno. In realtà la cima del Lavane vera e propria (1241 m) si trova mezzo km circa più ad est, separata da qui dalla grande conca erbosa di Pianporcello, antico pascolo oggi tagliato dal metanodotto algerino e dalla relativa pista ghiaiata. 
Per il ritorno la via più semplice per realizzare un anello è seguire quest’ultima verso nord (sinistra) per oltre 2 km, fino cioè al «taglio della Regina», dove la pista ghiaiata si inoltrerebbe nel corridoio scavato artificialmente in epoca medievale dai monaci di San Benedetto. I lavori del metanodotto hanno reso irriconoscibile questo fenomeno di «cattura fluviale» già osservato e segnalato dai vecchi geografi di metà Novecento, ma si trattava di un espediente attuato per non lasciare mai a secco, neppure d’estate, i mulini dell’Acquacheta, sottraendo acqua al bacino di Campigno (Lamone) per convogliarla in quello del Montone.   
Si fa comunque attenzione a voltare bruscamente a sinistra a quota 1030, prima cioè del «taglio» vero e proprio, lasciando la pista ghiaiata per prendere a sinistra il sentiero 523; si arriva quindi al Passo di Valtorte dove, tagliata una ripida pendice di faggi, si esce allo scoperto fra pratoni punteggiati da lastre di arenaria e marne sgretolate. Una tortuosa discesa ci accompagna ora, senza problemi, fino alla casa di Poggiolo e al sottostante borghetto di Magliabecco, dopodiché si chiude l’anello arrivando alla chiesetta di Campigno, con le tabelle che riportano i versi del grande Dino Campana. Poche centinaia di metri verso sinistra ci separano dal punto di partenza.

Il tempo complessivo, soste escluse, è di 4-5 ore di cammino, naturalmente variabili a seconda del passo e di fattori individuali o contingenti (fango, neve, ecc.). Necessaria la carta escursionistica «Appennino faentino» 1:25.000 (Cai Faenza, Regione E/R e Toscana, 2019).
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