Matteo Zauli concreto ma anche speranzoso per il futuro del museo dedicato a suo padre

Romagna | 15 Maggio 2020 Cultura
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Federico Savini
«Lo slogan “La cultura non si ferma” forse non ci ha portato troppa fortuna, perché di noi si è parlato e si continua a parlare poco, mentre proprio quella campagna è stata sostenuta dagli artisti, con impegno e creatività, per aiutare tutto il Paese. Quello spirito non dobbiamo perderlo, il momento è difficilissimo, specie nel settore culturale, ma io mantengo il mio ottimismo». Non c’è traccia di sconforto e men che meno di polemica nelle parole di Matteo Zauli, direttore del museo faentino (istituzione privata, quindi particolarmente colpito da questa crisi) che ha voluto erigere nel nome del padre Carlo, e nel quale lavora anche la sorella Monica. Il museo Zauli è uno dei pochi che riaprirà già il 18 maggio, con tutte le accortezze del caso ma anche una serie di iniziative che si proiettano avanti (vedi box). «Aprire è importante e persino necessario, proprio per sottolineare le difficoltà di chi si occupa di cultura - sottolinea Matteo Zauli -. I musei possono riaprire prima dei teatri e dei cinema, è questa una responsabilità che dobbiamo sfruttare. Il territorio in cui operiamo ci vuole bene, ma il futuro resta incerto. Oggi gettiamo il cuore oltre l’ostacolo».
La riapertura sarà un fatto concreto. All’insegna della sicurezza ma con qualche valore aggiunto?
«Proveremo a trovarlo questo valore aggiunto. L’ottemperanza alle norme di sicurezza, che condivido profondamente, penso possa esaltare la natura “intima” di un luogo come il museo Zauli, fatto di spazi piccoli. La relazione tra l’individuo e l’opera d’arte, in questo contesto “protetto”, con tempo a disposizione e poche persone per volta, non dico che farà vivere a tutti una “sindrome di Stendhal”, ma credo sarà un’esperienza molto intensa. Tra le poche cose buone di questo virus c’è il rallentamento che ci ha imposto e che ci può permettere di scoprire dettagli che prima sfuggivano alla nostra attenzione. Ci saranno anche sorprese e contenuti inediti».
Vi siete mossi in questo senso già con le iniziative web, come quella di raccontare i pezzi «inediti», normalmente non visibili. Quello dei social è chiaramente un ripiego, ma pensi abbia lati positivi? Magari anche nel lungo periodo?
«Sì, e mi fa piacere sottolinearlo. Siamo stati costretti a ripensare il nostro lavoro ma, per dirne una, abbiamo piacevolmente scoperto di essere capaci di creare contributi audio-video che raccontano storie, legate al museo, che diversamente avremmo perso. Sono iniziative che non si esauriranno, perché lanciano ponti verso il futuro. Occupandomi anche della parte amministrativa del museo, posso ammettere che la frenesia di questi compiti rischia di distogliermi dai contenuti museali. Siamo un’azienda a tutti gli effetti, non lo dimentichiamo, ma non dimentichiamo nemmeno perché abbiamo scelto questo lavoro: per i contenuti, per divulgare cultura. La riflessione ci aiuta a farlo meglio».
Un’idea del danno economico come ce la facciamo?
«Basta pensare al blocco del turismo culturale nella stagione più ricca, che per noi si aggiunge a percorsi di formazione già organizzati e saltati. Cinque progetti, non recuperabili».
Il museo Zauli vive molto di eventi. E’ una delle sue forze ma è la più lontana in termini di ripartenza…
«E’ vero, ma io resto ottimista. In questi giorni partecipiamo a importanti bandi nazionali e abbiamo preso impegni con le istituzioni locali e regionali per progetti come il Padiglione Estate. Ci servirà per contenete i danni e riprogettare il futuro. Non nego che saltassero i nostri eventi dell’intero 2020 ci sarebbe il rischio di chiusura per il museo, ma è proprio per questo che non ci dobbiamo fermare, perché vorrebbe dire condannarsi da soli. In questi giorni continuiamo a elaborare progetti e lavoriamo per organizzare i workshop autunnali. “La cultura non si ferma” non deve rimanere solo uno slogan. Deve valere anche, soprattutto, per chi vive di cultura».


 
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