Marina di ravenna, la Cozza selvaggia interpretata dagli chef Borroni (Alexander) e Ferrini (Circolo velico)

Romagna | 02 Luglio 2021 Le vie del gusto
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Riccardo Isola - Si è chiusa l’ottava edizione della Festa della cozza selvaggia di Marina di Ravenna, un appuntamento gastronomico, culturale, economico e sociale che ha risvolti in proiezione molto interessanti. Lo attestano pescatori, ristoratori, scienziati e ricercatori che, nella giornata conclusiva della Festa, si sono ritrovati per una serie di tavole rotonde multi disciplinari in cui sono stati approfonditi i diversi aspetti di questo prodotto ittico che sta caratterizzando, in modo sempre più convincente e permeante, il mercato locale. Il tutto corredato da uno show cooking con alcuni aderenti all’associazione CheftoChef e RavennaFood.

STORIA E PROPRIETA’
La storia dell’uso a scopi alimentari del mitilo risale all’uomo preistorico nel Mediterraneo mentre nello specchio dell’Adriatico bisogna risalire invece a tempi più recenti.  Per Massimiliano Petracci, del dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna «è solo in epoca relativamente recente, quando la presenza delle piattaforme per l’estrazione di gas naturale dal fondo del mare, hanno iniziato a creare vere e proprie oasi di attecchimento, colonizzazione e riproduzione che si può parlare di un vero e proprio allevamento di cozze. Una questione, molto dibattuta, che va chiarita sul consumo delle cozze  (in quetso caso di Marina di Ravenna, ndr) viene poi presentata da Giuseppe Arcangeli. Per il direttore del centro specialistico ittico dell’istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie «alla luce del fatto che questi frutti di mare provengono da allevamenti spontanei al largo, e quindi provengono da quella che viene definita zona A, hanno standard di salubrità assolutamente compatibili con il loro utilizzo anche a crudo. Stessa cosa però la si più fare anche dai prodotti ricavati dalla zona B, quella più vicina alla costa, previa fase di depurazione effettuata. Questi prodotti ittici sono molo nutrienti e salubri, anche alla luce di una certificazione che si sta effettuando sulla Cozza di Marina, per cui i consumatori possono stare assolutamente tranquilli».

I PESCATORI
A Marina di Ravenna le cooperative di pescatori-subacquei che raccolgono dai pali sommersi delle piattaforme questo «oro nero dell’Adriatico» sono due. In totale si parla di una quarantina di sub che grazie a una flotta composta da otto barche, s’immergono, dalla tarda primavera fino a settembre/ottobre, dai lidi ferraresi fino al largo di Rimini a una profondità massima di 12 metri. Essendo un prodotto spontaneo, selvaggio, allevato secondo i ritmi naturali del mare, le quantità sono assolutamente variabili di anno in anno. Una pesca assolutamente sostenibile che nasce negli abissi, cresce libera e venie raccolta esclusivamente a mano.  Un prodotto se vogliamo di nicchia ma che istituzioni, portatori di interessi, operatori del settore hanno e stanno cercando di promuoverlo attraverso anche una certificazione ufficiale, il cui iter è appena partito, racchiusa appunto sotto il nome di «Cozza selvaggia di Marina di Ravenna».

GLI CHEF
«Saper interpretare un prodotto che ormai fa parte del patrimonio organolettico delle nostre tavole e dei nostri piatti è una sfida che raccogliamo con entusiasmo e spirito propositivo». Hanno le idee chiare gli chef Mattia Borroni (Alexander) e Alessandro Ferrini (Circolo Velico) su cosa e come si può manipolare con rispetto e con capacità interpretativa uno dei prodotti simbolo dell’Adriatico. «Meno la si contamina, la si nasconde dietro complessità di consistenze, aromaticità e sapori, e meglio è. Soprattutto meno la si cuoce più mantiene tutte le sue proprietà gustative e nutrizionali oltre che una consistenza adeguata e rispettosa. Questo è un prodotto - sottolineano i due giovani chef ravennati - che racchiude in se l’essenza stessa del mare». Stiamo parlando di: timbriche giustamente iodate, non banale richiamo alla tendenza dolce, quel suo spiccato imprinting di sapore vivo e accentuato che si trasmette a un mollusco che è al contempo molle ma carnoso e succulento. e quella chiusura finale leggermente amarognola che stuzzica e crea quel famoso modo di mangiare le cozze dell’una tira l’altra. «Amiamo utilizzarla - spiega Ferrini - per cercare di sfatare il mito di essere la cugina povera dell’ostrica o della vongola verace. La rendiamo protagonista assoluta del piatto cercando di proporla al naturale, poi è bello giocarci anche attorno, senza però mai stravolgerne l’essenza. Un esempio è il piatto che abbiamo realizzato per la festa che è un “Pancotto con le cozze marinate nell’acqua di pomodoro fermentato con salsa di Parmigiano, cialda di semi del pomodoro fermentato e crema di pomodoro fermentato”». Questo prodotto «racchiude in un piccolo mollusco - rimarca anche Borroni - l’essenza del sapore di mare. Le cozze le utilizzo anche come insaporitore per i piatti, grazie anche a una consistenza gommosa ma molto piacevole. Come gusto e particolarità - aggiunge - la cozza è molto versatile e si presta a sposare le fantasie degli chef. Inoltre va sottolineato che per esempio la zuppa di cozze, nella sua semplicità, è il simbolo dell’estate. Infine - conclude Borrone - l’importante è però sempre renderla protagonista, basta anche solo qualche tocco di finocchietto selvatico, vino bianco e aglio per preparare un grande piatto di pesce, realizzato a poche miglia dalla cucina».

L’IDEA
Il progetto Wilma acronimo di Wild Molluscs of Adriatic (www.fondazioneFlaminia.it) è realizzato dalla Fondazione Flaminia. Un progetto finanziato nell’ambito Piano di azione Flag Costa Emilia Romagna – PofEamp 2014 2020. Priorità 4 Azione 4_A. Informazione per operatori pesca e collettività Regolamenti (UE) 1303/2013 e 508/2014.
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