Marabini (Asl Ravenna): "Ripartiti con tutti i servizi ma i tempi sono raddoppiati"

Romagna | 07 Agosto 2020 Cronaca
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Silvia Manzani
«A oggi, posso dire che ha riaperto praticamente tutto. Anzi, abbiamo ripreso in mano anche le novità che erano rimaste in sospeso, come la Casa della salute appena inaugurata a Lido Adriano. La riorganizzazione è davvero immane e, a fronte dei protocolli anti Covid, non si può pretendere che le tempistiche siano quelle di prima. Per fortuna, la maggior parte delle prestazioni richieste sono sempre procrastinabili». Mauro Marabini, direttore del Dipartimento di cure primarie e medicina della comunità dell’Asl di Ravenna, riassume così il sistema sanitario locale post-emergenza, che durante i mesi di giugno e luglio ha ripreso avvio anche per quanto riguarda i servizi che si erano fermati.
Dottore, qual è l’impegno più forte, al momento?
«Senza dubbio la burocrazia. In tempi di emergenze le procedure si snelliscono ma poi, quando si torna alla normalità, tutto torna inevitabilmente a complicarsi affinché ci sia una coerenza con la necessità di riavvio. Oltre alla struttura di Lido Adriano, siamo in grande fermento sul punto di primo intervento di Cervia, dove in agosto il personale verrà raddoppiato. In settembre, poi, apriremo la struttura di Brisighella, una sorta di ospedale di comunità ricavato da un’ex monastero. Ma siamo anche davanti a un gigantesco ricambio generazionale per quanto riguarda i medici di medicina generale e non solo: stanno subentrando moltissimi neolaureati, il che significa ripensare all’organizzazione generale. I giovani portano una nuova visione e una nuova cultura, è chiaro che il sistema si deve riadattare. Solo nel distretto di Lugo, se tutti i 66 medici di medicina generale arrivassero al primo gennaio 2030 per poi andare in pensione, ne rimarrebbero solo cinque attivi. Questo la dice lunga sui numeri e sull’operazione di rinnovamento. I nuovi medici sono nativi dell’informatica, dell’inglese, sono collaborativi a livello interprofessionale. Dobbiamo rimboccarci le maniche per aprir loro la strada».
C’è, al momento, anche il grande tema del recupero delle prestazioni specialistiche che nei mesi scorsi si sono interrotte. A che punto siamo?
«Devo dire che stiamo facendo un lavoro enorme per recuperare le visite non fatte, tenendo anche conto dell’effetto moltiplicatore che ogni prestazione si porta dietro: un esame diagnostico, una nuova visita, un approfondimento. Siamo consapevoli che stiamo parlando in termini di milioni, per quanto in Romagna le visite rimandate siano state 250mila. Difficile dettare dei tempi, stiamo però facendo tutto il possibile per rimetterci al passo, devo dire con una grande collaborazione di tutti. Dobbiamo, però, essere consapevoli che a causa delle misure di sicurezza, la velocità è dimezzata, il che significa che dobbiamo sempre mettere in conto un raddoppiamento dei tempi, che si aggiunge ai ritardi sui quali stiamo lavorando e ai piani ferie, anch’essi contemplati dai programmi di smaltimento degli appuntamenti di specialistica ambulatoriale».
D’estate torna sempre attuale anche la guardia medica turistica, servizio che da anni soffre la difficoltà di reperimento dei medici. Oggi la situazione è diversa?
«Fortunatamente la Regione Emilia-Romagna ha avuto la giusta intuizione di una centrale operativa che risponde a un numero verde unico, attivo giorno e notte, e che sta funzionando perfettamente. Siamo riusciti a riaprire gli ambulatori, il cui accesso è sempre filtrato dal numero unico, dando così concretezza al servizio. Per quanto riguarda il personale, siamo praticamente andati a casa dei medici, forti del fatto che non è necessario aver svolto l’esame di Stato per potersi mettere al lavoro, basta la laurea abilitante. Abbiamo avviato un percorso formativo e di affiancamento che vede insieme medici più anziani e medici giovani, in quello che è uno stimolo reciproco formidabile. Quest’anno, del resto, il bisogno di personale è ancora più intenso visti i test sierologici che si effettuano anche i turisti con le unità mobili».
Il Coronavirus ha determinato un cambiamento delle abitudini nei cittadini nell’accesso ai servizi sanitari, come è successo nella fase iniziale con i pronto soccorso?
«Direi che gli unici cambiamenti negli accessi sono determinati dall’esistenza delle misure di sicurezza e prevenzione. Per il resto, sappiamo che la domanda sanitaria risente di una ciclicità e di un’alternanza che si sono verificate anche questa volta. Si tratta di variazioni che ci ribadiscono come il 90% dei bisogni percepiti come tali siano procrastinabili. Così come in pronto soccorso si è arrivati a un’affluenza quasi vicina allo zero per poi tornare, praticamente, ai numeri di prima, anche su altri fronti come la richiesta di farmaci abbiamo assistito a sbalzi del 30% da un mese all’altro. Nella sanità succede così: o tutti chiedono o tutti rinviano, sempre nello stesso momento. Ci siamo abituati». 
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