L’uscio in senso letterale e figurato aizza da sempre la fantasia dei romagnoli «Sëra l’óss ch’ a i sén tott!»
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Angelo Emiliani
Par chês a j eva l’óss in carvaja... La battuta, ridetta più volte nella spassosa commedia dialettale Ciàcar e fartël di Luigi Antonio Mazzoni, suscita ogni volta scoppi di ilarità in quanti assistono alla recita della Bertón. L’autore la mette in bocca ad una caziâna, una che ha il vizio di ficcare il naso negli affari delle sue vicine, origliando da dietro l’óss ad cà, l’uscio di casa. Ed è proprio sull’uscio che ci fermiamo con qualche divagazione.
Quanto sia importante questo elemento nella vita quotidiana di ciascuno è superfluo sottolinearlo.
L’uscio è un confine, separa e protegge il nostro mondo dal resto, da tutto ciò che è altro. Il possederne le chiavi ci dà un senso di certezza, ci conferma che a noi, a noi soltanto, è consentito aprire e chiudere, decidere chi far passare. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. E chi vuole entrare deve chiedere: As pol? «Permesso?». L’uscio è posto a protezione della nostra roba, ma soprattutto del nostro privato. Quanti subiscono un furto - son tanti, purtroppo - provano rabbia per l’intrusione fra le loro mura più ancora che per ciò che è stato sottratto.
Non è dunque un caso se l’óss è al centro di un’infinità di modi di dire e di proverbi, in parte propri della nostra parlata.
Diciamo con rassegnazione: duvé ciapê l’óss tott i dè riferendoci all’esser costretti a uscire di casa per il lavoro o per altre incombenze gravose. Ciàpa l’óss! detto in tono imperativo può costituire uno sprone a compiere il proprio dovere, ma anche un mettere alla porta senza tanti riguardi.
E stà a caval d’óss chi è indeciso se entrare o meno o chi si attarda sulla soglia in chiacchiere. Se quando se ne va non chiude può sentirsi dire Tirat dri d’óss, Sëra l’óss ch’e scapa e’ gatt. O chiedere: Et la pré a cà tu?, come se ancora fosse in uso il contrappeso, una pietra appunto, per tener chiuso l’uscio che immetteva nella stalla.
Srê l’óss int la faza, srê ón fóra (o fura) dl’óss, significa non consentire che entri una persona indesiderata, un seccatore. E se non ci si sente tranquilli pur avendo chiuso, u s abarandëla l’óss. Quando si è in compagnia, anche se all’aperto, all’arrivo dell’ultimo si usa dire: Sëra l’óss ch’ a i sén tott!
L’è strèt fra l’óss e e’ mur (o e’ spigul) chi è nell’imbarazzo di dover prendere una decisione difficile. Mnê l’óss in vôlta sta per menare il can per l’aia, il tergiversare. L’ha un’ambrósa a tott j óss il dongiovanni, ón ch’fa ‘d dón. L’è óss e butega chi abita dove lavora o nei pressi. Chi è solo u i nès l’erba ins l’óss. Andê a snalslê int tott j óss sta per curiosare, intromettersi. L’è grass cum è un óss un tale magro e piatto.
Cercare rimedio quand’è ormai tardi, quando il guaio è fatto, equivale a srê l’óss quand che i bu j è za schëp. Quand che l’öst e sta ins l’óss vuol dire che gli affari vanno male.
L’uscio, inteso nelle sue varianti - porta, portone, cancello, ecc… - impedisce a estranei di entrare, ma può anche costituire una barriera invalicabile per chi deve star dentro, in galera. Se responsabile di malefatte particolarmente gravi e odiose, bsógna metal déntar, srê l’óss e butê vèja la ciêv. Tnil dentar fena ch’u n fa al foj e’ cadnàz. In quest’ultimo caso il termine óss non compare, ma è chiaramente sottinteso.
Sono ormai finiti nell’elenco - ahinoi, già fin troppo lungo - dei quasi dimenticati, alcuni vecchi proverbi: Né cân, né vilân, né razza pôrca, in sëra mai né l’óss né la pôrta. Êria d’óss o ‘d finëstra, colp ad s-ciòp o ‘d balëstra. E ancora: Fabrér da la curta vôlta e fè brusê l’óss e la pôrta.
C’è un detto quanto mai efficace per mettere a tacere chi vuol far credere di saperla lunga sui casi altrui: Ugnón e sa cum u s sëra l’óss a cà su.
Basta fermiamoci qui, anche se ci sarebbe altro da dire. A s salutén. L’ùltum e môrta la luz e e sëra l’óss.