La saga di una famiglia romagnola nel romanzo di Claudio Panzavolta, editor e docente universitario di origine faentina

Romagna | 08 Febbraio 2021 Cultura
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Federico Savini
«Questo libro è nato anzitutto da una ricerca che ho fatto all’interno della mia famiglia, in particolare parlando a lungo con una delle mie nonne, che per tutta la vita ha abitato in Romagna. Diversamente da me, che sono stato a lungo a Milano e oggi vivo a Venezia. Tuttavia, il fatto di guardare alla Romagna da lontano, tanto più avendone carpito memorie di vita vissuta, ha rafforzato il mio legame emotivo con questa terra, anche più di quanto sarebbe accaduto vivendoci stabilmente». Coerentemente con questo assunto, si chiama Al passato si torna da lontano il secondo romanzo, uscito niente meno che per Rizzoli, di Claudio Panzavolta, scrittore faentino classe 1982 che da ormai sei anni vive a Venezia, dove lavora come editor per Marsilio e, dopo studi sulla narrazione cinematografica, insegna al Master in Editoria dell’Università degli Studi di Verona. Nel 2014 raccontò già la Romagna, segnatamente quella balneare degli anni ’90, nell’esordio L’ultima estate al Bagno Delfino, mentre il recente Al passato si torna da lontano è una vera saga familiare, di oltre 400 pagine, ambientata nella Romagna di un ventennio che non è proprio «il solito», ma quello immediatamente successivo, ovvero gli anni che dall’ultimo scorcio della guerra (segnatamente il 1944) conducono fino agli anni ’60 del boom economico.
«Il titolo che ho scelto è la rielaborazione di un passaggio della scrittrice Alice Munro - spiega Panzavolta -. Espone un concetto a me caro, che lega la dimensione del tempo a quella dello spazio, e che ha a che fare con la storia che racconto. Una storia familiare, incentrata però sul personaggio di Anita, che per chiudere i conti con un episodio doloroso e traumatico del proprio passato, avvenuto in tempo di guerra, dovrà abbandonare Faenza per andare a Roma. Solo lì potrà dare un compimento alla brutale vicenda che ha segnato la storia della sua famiglia».
Già il primo romanzo, L’ultima estate al Bagno Delfino, raccontava la Romagna, quella rivierasca anni ’90, mentre questa volta siamo nel Dopoguerra, con altre esigenze narrative. Come mai?
«Il primo romanzo era sicuramente più autobiografico, mentre questa volta, a sei anni di distanza, ho preferito lavorare sulle memorie dei miei parenti, che poi ho rielaborato e arricchito con la fantasia e la cosiddetta Storia maggiore con la S maiuscola, che fa capolino nei testi, ad esempio attraverso articoli di giornale. Parliamo di anni narrativamente interessanti, non tanto per il boom economico, che ovviamente racconto, ma soprattutto perché mi hanno permesso di scandagliare il modo in cui a questo sviluppo si è arrivati, con contrasti e frizioni. L’Italia entrò allora in un mondo più moderno e ‘civilizzato’, per così dire, ma se abbiamo avuto un certo tipo di terrorismo e tentativi di colpi di stato durante gli anni di piombo prima, e rigurgiti neofascisti oggi, molto dipende anche da quanto è avvenuto (e non è avvenuto) negli anni che io cerco di raccontare. È stato un ventennio ‘di ricostruzione’, che però a mio parere va osservato e raccontato tenendo conto anche di quello che l’ha preceduto».
Come mai l’ambientazione romagnola?
«In parte dipende sempre da ragioni autobiografiche, ma penso che in generale dalla provincia si possa gettare uno sguardo privilegiato, più lucido, sulla Storia. Ho studiato a lungo il cinema e credo che i film che hanno raccontato meglio il fascismo italiano siano stati quelli della trilogia di Luigi Zampa (Anni difficili, Anni facili e L’arte di arrangiarsi, dal ’48 al ’54, nda) e soprattutto Amarcord di Fellini. Soprattutto in quest’ultimo, infatti, Fellini non ha focalizzato la propria attenzione sugli episodi più cruenti, ma ha preferito raccontare la quotidianità e la vita di tutti i giorni nella Rimini fascista, mostrando bene come e perché il fascismo sia penetrato e abbia attecchito così bene nella società di allora».
Ci sono altri periodi storici in cui varrebbe la pena di ambientare un nuovo romanzo?
«Ci sto pensando e ho qualche idea. In particolare mi piacerebbe immaginare la vita della figlia di Anita, la protagonista di Al passato si torna da lontano, e i suoi anni ’90».
Faenza ha sempre un ruolo anche fuori dai romanzi?
«Be’, ci sono nato e rimasto fino alla laurea. Poi ho abitato quattro anni a Roma, mentre studiavo sceneggiatura, per poi risiedere per un po’ a Milano, dove ho cominciato a lavorare nel campo editoriale, mentre ora ho preso casa a Venezia. A Faenza torno spesso, dalla mia famiglia».
Mescolare la storia ‘grande’ e quella ‘piccola’ pare un leitmotiv del romanzo…
«Dipende dalla mia passione per lo studio della storia da una parte e dall’immersione nella vita di mia nonna dall’altra. In quelle interviste l’ho scoperta come donna, prima che come nonna, e devo dire che anche se possiamo considerarla una persona tutto sommato semplice, ‘comune’, ha attraversato vicende incredibili ai miei occhi. Immagino che molto dipenda dal periodo storico che ha vissuto, ma, per esempio, l’inaspettato incontro con Chet Baker raccontato nel romanzo è reale e tanti altri episodi hanno solo una piccola parte di invenzione».
Il presente è meno interessante?
«Per me sì, almeno in qualità di romanziere. Da narratore penso che stiamo vivendo anni poveri, ai miei occhi non risuona come un periodo attraente da raccontare. Indubbiamente negli ultimi vent’anni sono successe tante cose storicamente rilevanti, dal terrorismo internazionale alla pandemia, senza contare il fondamentale rapporto con le nuove tecnologie, ma se provo a pensare agli scarti fra un decennio e l’altro, tra oggi e l’inizio degli anni Zero non vedo grandi differenze. Invece, se penso al principio degli anni ’80 rispetto a dieci o vent’anni prima, mi sembra di trovarmi davanti a mondi diversi. Chiaramente molto dipende dal privilegio, che abbiamo oggi, di poter guardare a quel periodo con il distacco e la giusta distanza che caratterizzano il lavoro degli storici. Oggi siamo bombardati dalle notizie, in un giorno ne mettiamo insieme una quantità che un tempo si sarebbe accumulata, che so, in una settimana. E mi pare che queste sollecitazioni si annullino tra loro, come se le notizie, e forse anche le parole, oggi avessero perso peso».


Lunedì 8 gennaio alle 20.30 il sindaco di Faenza Massimo Isola intervisterà sulla sua pagina Facebook Claudio Panzavolta
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