La delegata della Fivi, Elisa Mazzavillani, fotografa lo stato dell’arte del vino romagnolo: «Dobbiamo riuscire a comunicare meglio e di più»
Riccardo Isola - Il segreto per una crescita d’attenzione, interesse e di conseguenza vendita del vino del territorio, passa attraverso una semplice, ma non banale, strategia: «saperci raccontare meglio, di più e con continuità, soprattutto all’estero». Questo è quello che pensa Elisa Mazzavillani, delegata romagnola della Fivi, la Federazione dei vignaioli indipendenti, che da Castrocaro Terme-Terre del Sole, dove porta avanti la sua cantina, Marta Valpiani, lancia alcune riflessioni e idee importanti per il futuro. Lo fa anche alla luce del successo ottenuto dal Mercato dei produttori Fivi, andato in scena nel week-end scorso all’interno dei Padiglioni della Fiera di Bologna, che ha visto diverse migliaia di visitatori e appassionati del mondo del vino frequentare gli stand.
Visto l’ennesimo successo, per il secondo anno in terra bolognese dopo anni a Piacenza, ci spiega qual è il segreto del successo e la differenza tra il vostro appuntamento annuale e le tradizionali vetrine fieristiche?
«Credo che la vera differenza sia l’approccio completamente differente nella filosofia. Al Mercato, infatti, non c’è solo il vino come protagonista unico, bensì i vignaioli. Un incontro-confronto diretto tra il pubblico, gli addetti del settore, gli amanti del vino e chi questo prodotto del territorio lo produce attraverso tutta la filiera. Grazie agli spazi di Bologna poi, il format, sta respirando energia nuova. Non cambia e non credo cambierà l’appreazzta possibilità non solo di assaggiare ma di potersi anche portare a casa, con l’acquisto, delle bottiglie che sono piaciute di più durante le degustazioni effettuate. Inoltre non possiamo non notare quanto spazio e possibilità di una rappresentatività veramente quasi totale della Federazione ci sia stata. Sui 1.700 soci sparsi per l’Italia, a Bologna, in quei giorni, erano presenti oltre un migliaio di realtà».
Al di là dell’evento della scorsa settimana, qual è il valore aggiunto che caratterizza e identifica un Vignaiolo indipendente, che sia romagnolo o di qualsiasi altra realtà produttiva italiana ed estera?
«L’autenticità della proposta di un prodotto curato in tutti i suoi aspetti. I vignaioli Fivi sono custodi del territorio, attraverso un lavoro in vigna e in cantina, che ha una grandissima responsabilità sociale, culturale, economica e di promozione dell’autenticità e identità. Proponendo una verticalità della filiera diamo un senso alla parola indipendente. L’indipendenza per noi significa rispecchiare quei valori e quelle pratiche in tutte le varie fasi della produzione. Nel vino ci siamo noi e il nostro territorio. Non è questione di fare prodotti migliori o peggiori. Quello che deve e che secondo noi emerge è la cura e l’idea unica che portiamo alla ribalta del grande pubblico».
A proposito di pubblico la Romagna sta vivendo una bella fibrillazione in tema vino. Li vede anche lei questi segnali positivi?
«Il fermento c’è ed è molto positivo. Riguarda sia l’ambito dell’offerta e della produzione sia quello della domanda. C’è curiosità verso queste nuove testimonianze della vitivincoltura romagnola. Sono ancora lievi sussulti ma si sta muovendo qualcosa di molto interessante, e per fortuna non solo a livello locale o regionale, ma anche estero. Dobbiamo proseguerire su questa strada puntando però su alcuni miglioramenti di sistema come comunicazione e racconto nuovi. Serve più efficacia e costanza nel narrare il Sangiovese, l’Albana e gli altri vitigni che sono presenti nel territorio e che diventano vino, perché la curiosità nel consumatore c’è. Bisogna però saperlo invogliare e accompagnare».
Cosa manca, allora, alla Romagna e ai vignaioli romagnoli per fare questo salto ulteriore?
«E’ fondamentale, imprescindibile e non più rimandabile riuscire a creare un racconto più effiace. Le difficoltà ci sono, al di là di quelle meteorologiche, nel fare una massa critica capace di cavalcare l’onda di forte rinnovamento che sta attraversando la Romagna del vino. Oggi queste devono essere superate e vinte. Serve quindi alzare la qualità media dei vini, serve una sinergia di gruppo nel lavorare al racconto del vigneto Romagna. Da soli non solo non è facile ma diventa, oggi, quasi impossibile. Il gioco di squadra è la vera strategia, per non dire l’unica, per permettere a quella curiosità sul nostro vino che si sta palesando, di germogliare ancora».
In Romagna sono circa una trentina le aziende aderenti
La Fivi, nata ufficialmente nel 2008, si articola sul territorio in Delegazioni locali, nate su libera iniziativa degli associati come unità di raccordo tra la base e gli organi dell’associazione. In totale lungo tutto lo Stivale le adesioni arrivano a superare quota 1.700.
Le caratteristiche e le peculiarità per potersi fregiare del «titolo» di Vignaiolo Indipendente sono chiare e ben specifiche. In primis l’adesione pretende che si coltivinno le proprie vigne, si vinifichi di conseguenza la propria uva e si imbottigli il vino curandone personalmente la vendita, sotto la propria responsabilità, con il proprio nome e la propria etichetta. I vigneron della Fivi sono impegnati quotidianamente in un processo che segue tutta la filiera di produzione, operando costantemente per custodire, tutelare e promuovere il territorio di appartenenza.
Il delegato, nel caso romagnolo da qualche tempo rappresentato nella figura della vignaiola Elisa Mazzavillani della cantina Marta Valpiani di Castrocaro, viene eletto dagli associati che fanno parte della delegazione. Costituisce il punto di riferimento dell’Associazione per le amministrazioni locali e per i vignaioli presenti sul territorio.
Nel territorio di Romagna (fonte sito Fivi) gli aderenti sono in totale poco meno di una trentina, siamo a quota 27.
La ripartizione territoriale vede per l’area imolese presenti sei cantine, per quella ravennate sette, per il forlivese-cesenate ben dodici mentre per il riminese due. Per l’area imolese ne fanno parte: «Assirelli Vini», «Branchini 1858» a Dozza, «Giovannini», «Tenuta Franzona», «Terre di Macerato» e «Tre Monti» a Imola.
Nell’area del ravennate le sette realtà sono: «Costa Archi» a Castel Bolognese, «Ancarani», «Cantina San Biagio Vecchio», «Francesconi», «Quinzan» e «Zinzani» a Faenza, «Cantina Bulzaga» a Brisighella.
La squadra più numerosa è quella tra Forlì e Cesena e conta le cantine «Amaracmand» a Roncofreddo, «Corte San Ruffillo» a Dovadola, «Drei Donà - Tenuta La Palazza», «Stefano Berti» a Forlì, «Fiorentini» e «Marta Valpiani» a Castrocaro-Terre del Sole, «Giovanna Madonia», «Tenuta La Viola» e «Zaccarini» a Bertinoro, «Sadivino» a Predappio, «Tenuta De Stefanelli» a Meldola e «Tenuta Piccolo Brunelli» a Galeata.
Infine per il territorio di Rimini le due cantine sono: «Tenuta Garbognano» a Gemmano e «Tenuta Sant’Aquilina» a Rimini. (r.iso.)