La Dad per le famiglie straniere: «Un incubo, spazi ristretti e pochi dispositivi»

Romagna | 27 Marzo 2021 Cronaca
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Barbara Gnisci e Silvia Manzani
Enrica, 17 anni, frequenta il  quarto anno del liceo classico a Faenza. Daniel, 13, fa la seconda media alle Lanzoni, dove studia anche la sorella Kimberley, di un anno più piccola. Agnese, quasi 10 anni, fa la quarta elementare alle Don Milani. Sono i figli di Glory Afeks, nigeriana, in Italia dal 1995. La sua storia, tra videolezioni, dispositivi, connessioni e spazi ristretti, è solo un esempio di come la chiusura delle scuole stia mettendo a dura prova la quotidianità delle famiglie straniere e la continuità didattica dei bambini e dei ragazzi: «A casa abbiamo solo un computer, quindi all’inizio Enrica si sacrificava, seguendo le lezioni dal cellulare e prestando il Pc ai fratelli. Un incubo, specie se si considera che a casa non abbiamo il wi-fi ma solo i giga della Wind. Per fortuna la dirigente dell’Istituto comprensivo «Matteucci» Nicoletta Paterni ci ha fatto avere un computer in comodato d’uso gratuito e ora Kimberley utilizza quello, mentre Daniel ed Enrica continuano con i telefonini. La situazione è pesante, anche perché il nostro appartamento è piccolo, con solo due stanze da letto e un soggiorno-cucina. La fortuna è che ho diverse amiche mamme che accolgono i miei figli a casa loro se devono stampare compiti o fare ricerche, insomma ho trovato tanta solidarietà». Anche Glory, dal canto suo, cerca di restituire alle famiglie nella sua situazione quello che sa fare: «In passato ho avuto un negozio di generi alimentari africani a Faenza, qui molti hanno il mio numero di telefono e mi chiamano per capire come barcamanersi tra piattaforme e registri elettronici. Io per fortuna ho un’ottima insegnante: Enrica». Questo periodo di Dad, per la donna, fa anche rima con mancanza di lavoro: «Lavoravo a Fognano come aiuto cuoca e addetta alle pulizie ma a giugno sono rimasta a casa. Dopo ho trovato altri due impieghi negli stessi settori ma i contratti sono stati brevissimi. I miei figli sono autonomi, la maggiore è la mia vice e sa benissimo gestire i fratelli: se avessi un lavoro potrei lasciarli a casa da soli, anche perché posso contare sulla coppia di anziani che vive un piano sotto di noi, e che chiamiamo “nonni”. Invece sono qui, a condividere con i ragazzi giornate lunghe e davvero molto impegnative».

«COMPLICATISSIMO»
Il periodo è problematico anche per Simeon Eko, nigeriano e con quattro figli, di cui tre in Dad: «Vivo a Ravenna in un appartamento abbastanza grande, mia moglie è casalinga, anche perché a causa del Covid non è riuscita a proseguire con l’impiego per cui era in prova. Io lavoro come mulettista e sto fuori tutto il giorno, lei gestisce tutta l’organizzazione, che è davvero difficile». Mentre l’ultimogenita, che ha 2 anni, è libera da impegni scolastici, gli altri tre ragazzi devono seguire le videolezioni: «Abbiamo una figlia in seconda media e due figli in seconda e quarta all’Istituto Callegari. Non abbiamo alcun computer, un amico ce ne aveva regalato uno ma ci siamo accorti che non funzionava bene. In tutto disponiamo di due cellulari, uno dei quali è di mia moglie, ma è davvero dura fare lezione su uno schermo piccolo, anche perché gli orari di lezione dei ragazzi si accavallano. Morale, i miei figli non riescono a seguire tutto, qualcosa se la perdono per forza e inevitabilmente restano indietro rispetto agli altri».

«NON NE VALE LA PENA»
«Mio figlio Bratt è arrivato a Ravenna a settembre 2019. Giusto qualche mese di scuola per ambientarsi e per superare le difficoltà legate alla lingua e poi è iniziata la Dad. Per lui è stato un periodo bruttissimo, mi diceva che voleva tornare in Africa e anche per me lo è stato, perché con il primo lockdown ho perso anche il lavoro». Doriane Simeu, 32enne originaria del Camerun, è arrivata a Ravenna nel 2016: «Sono stata inserita in un centro di accoglienza. Ho imparato la lingua in pochissimo tempo e mi sono formata come cameriera di sala. Poco dopo essere arrivata, ho trovato lavoro e, uscita dal progetto, ho trovato anche una casa. In breve tempo sono riuscita ad ottenere il ricongiungimento familiare con mio figlio. Che emozione quando sono andata a prenderlo all’aeroporto. Quando mi ha vista è scoppiato a piangere e io mi sono sentita talmente orgogliosa di me». Qualche mese fa Doriane chiede aiuto ai servizi sociali: «A causa della fine della relazione con il mio compagno e a causa della perdita del posto di lavoro abbiamo lasciato la nostra casa e ora viviamo in un centro con altre mamme e con altri bambini». La donna non si perde d’animo: «Bratt frequenta la terza elementare e io sto facendo un corso di formazione come commessa per il supermercato. Ci troviamo benissimo nella nuova casa e il mio piccolo ha la possibilità di giocare con altri bambini. Questa cosa non è poco vista la situazione in cui ci troviamo. A scuola è diventato bravissimo, segue le lezioni on line senza difficoltà e partecipa attivamente, ma so che preferirebbe stare a scuola. Io lo avevo preparato a questa eventualità e sinceramente non so se si tornerà a scuola ad aprile o andrà come l’anno scorso. Personalmente penso che la scuola on line non sia scuola e non ne valga proprio la pena, specie per i bambini così piccoli. Una parte importante della scuola è l’educazione che deriva da una maestra che è presente fisicamente. Io li vedo i bambini che si distraggono, che perdono il filo, che non riescono ad adeguarsi. Questa a me non sembra vita, è come se fosse finita».
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