L'oncologo di Ravenna: "Ho preso il Coronavirus, ma sto bene"
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Silvia Manzani
«Continuare a stare a casa, dopo quattro settimane di isolamento, è pesante. Ma per rispetto di tutti, continuiamo con la quarantena». Marco Montanari è un medico oncologo dell’ospedale di Ravenna. Quarantaquattro anni, due figli di cinque e sette, ha iniziato ad avvertire i sintomi del Covid-19 mentre era occupato in una normale mattinata di day hospital: “Era già stato registrato un caso tra i nostri pazienti e c’era una collega a casa in malattia ma ancora la diffusione del virus non era ancora così forte come poi si è dimostrata. Sono stato uno tra i primi, tra il personale sanitario di Oncologia, ad ammalarmi: tutto è iniziato con la febbre, la diarrea e dolori alle ossa molto invalidanti, ben diversi da quelli che associavo all’influenza classica. Sapevo che il rischio c’ero e quindi da subito ho capito che era toccato a me: quel giorno, casualmente, era previsto il tampone, che poi ha confermato il tutto».
Dopo qualche giorno anche il figlio più grande ha avuto la febbre e la diarrea: «Nel suo caso è davvero durata 24 ore. Mentre io ho preso il paracetamolo per un po’, a lui lo abbiamo dato una sola volta: è stato incredibile notare come nei bambini il Coronavirus non sia affatto un problema importante. Anche nel mio caso, comunque, è stato tutto fattibile. Del resto, anche guardando ai miei colleghi, si conferma che nella maggior parte dei pazienti la cosa si risolve nel giro di poco». Per quanto ancora positivi, Montanari e il figlio stanno bene e sono in attesa dei tamponi negativi: “Siamo tranquilli, ci hanno spiegato che è normale, anche dopo diversi giorni dalla scomparsa dei sintomi, essere ancora positivi». La moglie e il bimbo più piccolo, invece, per il momento non hanno contratto l'infezione: «In queste settimane abbiamo cercato di essere molto razionali, facendo leva sul fatto che siamo giovani e in salute e che non vedevamo i nonni da un po’. Questo ci ha rasserenato molto. Chiaro, mi spaventa un po’ l’idea di tornare al lavoro perché i nostri pazienti sono immunodepressi e bisognerà, quindi, capire come tenerli in sicurezza. Sarà un rientro non facile, in una situazione sanitaria complessa e inedita. C’è anche un senso forte di responsabilità dentro di me: il giorno in cui sono stato contattato dall’Igiene pubblica per verificare con quali pazienti fossi entrato in contatto, non nego di avere avvertito una grande pesantezza, la stessa che continuo a sentire adesso. Essere stato una potenziale fonte di contagio non mi fa stare così tranquillo».
Nel frattempo, per precauzione, Montanari e la famiglia continuano a passare le giornate in casa: «Abitiamo in un condominio, si potrebbe andare in cortile ma vogliamo proteggere gli altri: andare di sotto significa comunque attraversare spazi comuni, toccare i corrimano delle scale e l’ascensore. Meglio aspettare ancora un po’».