Imola, ottima riuscita per le kermesse enologica tenutasi all’Autodromo di «Vini ad Arte»
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Riccardo Isola - Dal Sangiovese agli spumanti passando per i bianchi autoctoni Albana, Trebbiano e Rebola arrivando fino ad alcune testimonianza dell’enologia di qualità della Bassa Romagna sono stati alcuni dei protagonisti enoici della vetrina allestita all’interno dell’Autodromo di Imola. Diversi gli assaggi fatti durante questa nuova edizione di «Vini ad Arte» che dimostrano come sempre più i vignaioli di queste terre inizino a guardare ai propri prodotti, ai propri stili come rappresentazione autentica del terroir. Meno occhiolini alle stilistiche sempre più démodé, almeno per i palati più allenati, fatte di grandi estrazioni, di super appassimenti, di strutture al limite della carnalità liquida, per riuscire invece a rendere sorso la lingua di quel determinato ambito di vitivinicoltura. Che siano terreni di altura, di marne e arenaria, di sabbia, di ciottolo, di argilla o di gesso. Veramente un «dolce stil novo». Grazie a questo piccolo Rinascimento romagnolo si sono così potute gustare, in una location particolare, alcune chicche e alcuni sorsi che se già non lo fanno lo faranno sicuramente parlare di loro.
Dai Romagna Sangiovese doc rivendicati, piano piano sempre di più, di Ronchi di Castelluccio, da non farsi perdere anche il loro Sauvignon blanc 2022, di Villa Papiano, snelli e taglienti, o quelli de I Sabbioni, con Oriolo che è veramente una spremuta di terroir, per non parlare di Fattoria Nicolucci o di Giovanna Madonia e Condello in cui il frutto e l’eleganza ne tracciano perfettamente la via, si arriva ai bianchi. Ah, dimenticavo, una stilistica più contemporanea è quella che sta caratterizzando anche il Domus caia di Ferrucci in cui l’appassimento trova veramente una sferzata vibrante e più «acerba» che lo rende assolutamente un sorso appagante e completo. Interessanti poi sono stati i sorsi croccanti, effervescenti e identitari figli dell’Albana vinificata con il Metodo Classico come quelli di Branchini e Fattoria Monticino. Quest’ultima ha portato all’assaggio anche una novità realizzata, seppur con poche bottiglie, con una sosta sui lieviti di ben 69 mesi. Il miglior campione sentito, per noi, rimane comunque un vino bianco. Si tratta del Trebbiano «Ca’ Rotte» di Podere la Grotta di Saiano di Cesena. Un sorso che parla di Romagna vestita da Loira. Suflureo, minerale, salato ma con succo e personalità. Veramente una grande scoperta che rende onore, non solo alla mano carezzevole del terreno e a quella rispettosa del vigneron (Giovanni Amadori ndr), ma del vitigno ormai e finalmente riportato alla ribalta per la sua capacità di rendersi autonomo del «vecchio» concetto di vino neutro e buono solo come «base».