Il riolese Andrea Rivola e Mia Lecomte raccontano i migranti ai bambini usando gli animali «fuori habitat»

Romagna | 09 Dicembre 2019 Cultura
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Federico Savini
La talpa che rimira, meravigliata, l’aurora boreale, il coccodrillo che si bea del suo turbante, lo stambecco che si ambienta come può in Brasile e la foca che sguazza nei canali di Venezia. Sono Gli spaesati (Verbavolant), coloratissimi animali «fuori contesto», nati dall’estro della poetessa italo-francese Mia Lecomte e dalla fantasia cromatica di Andrea Rivola, illustratore di Riolo Terme che collabora stabilmente col Corriere della Sera e mette mano da anni a pubblicazioni indefinibili, spesso geniali, che fondono i generi narrativi e si rivolgono al pubblico (anche quello dei bambini) nel modo meno stereotipato possibile, con la grazia rara di chi riesce ad affrontare tematiche importanti con la leggerezza e il brio che serve per catturare chi legge e farlo tornare più e più volte su pagine profonde e coloratissime. «Gli spaesati sta andando molto bene - dice Andrea Rivola - e la cosa mi fa piacere e mi sorprende per due ragioni. La prima è che non è un lavoro nato su commissione, ma una cosa a cui ho lavorato per anni con Mia, per proporlo agli editori in un secondo momento. Per un po’ mi ero convinto che non l’avrei visto pubblicato. Tutti lo trovavano interessante, ma difficile da vendere perché tratta un tema complesso come l’immigrazione».
Con Mia Lecomte avevate comunque già lavorato, in chiave simile, su temi delicati.
«Sì, nel 2008 abbiamo pubblicato su Sinnos Come un pesce nel diluvio, di argomento ancora abbastanza “leggero”, mentre nel 2010 per lo stesso editore è uscito L’Altracittà, che affrontava i cosiddetti “marginalizzati”, per sensibilizzare i ragazzi sui clochard, i senzatetto, i pensionati in difficoltà e gli immigrati, una fetta della società che viene messa in ombra senza dare spazio alle loro ragioni e alle loro condizioni».
Come si fa a parlare di questi temi a un pubblico giovanissimo?
«Penso sia la grande dote di Mia Lecomte, che ha una sensibilità spiccata per il sociale e riesce ad affrontare temi ostici in chiave ironica ma sempre molto onesta, rendendoli fruibili per un pubblico molto giovane. Abbiamo lavorato per anni a Gli spaesati, cambiando il progetto diverse volte, anche alla luce dell’evoluzione del mio stile grafico. Il tema dei migranti polarizza molto il dibattito nazionale e anche se la nostra vuole essere una sensibilizzazione più che una presa di posizione netta, non è stato facile trovare un editore. E i siciliani di Verbavolant sono stati l’approdo migliore, perché parliamo di un editore “impegnato” che ha grande cura per i suoi prodotti. Hanno valorizzato le mie illustrazioni in grande formato e colto il genio di Mia, che ha trasportato il tema migratorio in chiave animalesca per sottolineare come la migrazione sia uno scambio di culture in cui ci si arricchisce reciprocamente ma senza negare i disagi, che ci sono da ambo le parti, quella di chi ospita ma anche quella di chi si sposta, magari perché è costretto a farlo».
Idea perfetta per essere illustrata…
«Il mondo zoologico è vario e stimolante, ma qui c’è di più, perché ogni animale viene inserito in un habitat che non è quello col quale lo identifichiamo. Il cambio di contesto ingenera un cortocircuito che scatena situazioni spesso comiche, ma anche evidenti difficoltà o vantaggi non sottovalutabili».
E’ importante analizzare il fenomeno a 360 gradi?
«Sì, come dicevo la nostra volontà è quella di sensibilizzare sul tema, raccontandolo con dovizia. Il dibattito sulle migrazioni oggi è molto polarizzato ed è innegabile che questo libro sposi un’idea più che un’altra. Semplicemente, pensiamo che far comprendere ai ragazzi i vantaggi della combinazione tra le culture sia importante. E il linguaggio poetico, che probabilmente ha scoraggiato alcuni editori, è perfetto proprio per come si combina all’illustrazione. Le suggestioni generate dall’unione di parole, immagini e colori toccano corde profonde e rendono il libro molto “vivo”, qualcosa su cui si torna sopra per scoprire dettagli che a una prima lettura vengono ignorati. Vogliamo che queste pagine siano interpretate, l’immigrazione è un tema che va affrontato con delicatezza e penso che i genitori debbano leggere il libro coi ragazzi, anche per fargli capire che non è solo una storia di animali…».
Animali che funzionano bene…
«Vero, però non è stata una scelta scontata. Il mio amore per l’illustratore anni ’70 Richard Scarry mi portò a ipotizzare la chiave animalesca anche per i marginalizzati di L’Altracittà, ma in quel caso cambiammo idea, perché trasformare in animali persone che già vengono viste come “aliene” da chi sta meglio non avrebbe aiutato a calarsi nei loro problemi. Rischiavamo di ottenere l’effetto opposto alle nostre intenzioni. Per parlare delle migrazioni invece, abbiamo pensato che insieme agli animali l’altro protagonista era l’habitat, del tutto insolito per loro, e la combinazione dei due elementi avrebbe dato maggior forza al risultato. Non si illustrano banalmente dei “soggetti” ma lo si fa sempre con una prospettiva chiara: in questi giorni esce il calendario che ho realizzato per la onlus Cuamm, che da 70 anni porta assistenza medica in Africa. Non ho disegnato un’Africa sofferente ma un continente vitale e pieno di grandi personalità. L’obiettivo è far capire che chi arriva, fosse anche col barcone, ha alle spalle una storia e una cultura ricca e faccettata, da conoscere».
Con l’Africa, poi, il vecchio vizio di far di tutta l’erba un fascio è diffusissimo…
«Infatti, e alla tolleranza si arriva con la conoscenza della storia e dei territori. Se inquadro da subito un migrante come un elemento estraneo, fregandomene della storia del Paese da cui proviene, sarò portato a rifiutarlo. La prospettiva del racconto e dell’illustrazione rende un prodotto gradevole e trasmette nozioni importanti».
Tornando a Gli spaesati, come hai impostato il lavoro grafico?
«Non c’è una narrazione, ma una raccolta di “quadri”, quindi ogni animale è come un “manifesto” nel quale va condensato tutto il personaggio. Per evitare il caos cromatico mi sono però dato delle regole, 3 o 4 colori al massimo, molto caratterizzanti, anche per trasmettere lo spirito della cultura in cui l’animale si è trovato. E’ una scelta che può ricordare certi manifesti anni ’30 e ’40, che per esigenze tecniche limitavano i colori e devo dire che da anni sto approfondendo la grafica italiana di quel periodo, che rischia la damnatio memoriae perché l’ambito editoriale, a differenza di quello propriamente artistico, viene sempre poco storicizzato. Ma autori come Tofano, Golia e Mussino sono una fonte d’ispirazione continua e andrebbero riscoperti».
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