Il ricordo di Raoul Casadei del clarinettista Roberto Liverani, per 23 anni al suo fianco

Romagna | 19 Marzo 2021 Cultura
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Federico Savini
«Raoul era in orchestra con lo zio da più di 10 anni, ma nel 1972 in pratica l’ho visto esordire. E io, appena finito il militare, esordivo con lui». È appassionato e ricco di dettagli e aneddotica il racconto che Roberto Liverani, per tutti Robertino, lega al suo incontro con Raoul Casadei, consumatosi in un periodo a dir poco cruciale della storia del liscio, quello della «successione» del nipote allo zio Secondo, l’autore di Romagna Mia.
«Negli anni ’60 Raoul suonava la chitarra con lo zio e soprattutto già scriveva testi e canzoni - ricorda Liverani, originario di Faenza, oggi modenese -. Le canzoni-cartolina, sulle città romagnole, furono una sua intuizione e La mia gente è il primo grande pezzo scritto da Raoul, che diede una maggiore profondità ai testi della musica romagnola».
La morte di Secondo Casadei aprì la questione della successione. Momento delicatissimo…
«Che infatti portò a una frattura, dato che alcuni orchestrali, guidati da Ivan Novaga, avrebbero voluto portare avanti l’orchestra. Solo che Raoul, sul quale lo zio riponeva le aspettative, decise di lasciare l’insegnamento e guidare lui l’orchestra. Il repertorio di Secondo era in prevalenza strumentale e la defezione dei solisti di allora fu una prima grande difficoltà per Raoul…».
È qui che entra in gioco Robertino?
«È qui che mi tirano dentro! Io ero allievo di Delvolto Argelli e quando feci la leva ero sicuro che poi sarei tornato con lui. Raoul aveva preso con lui Enrico Muccioli e Al Pedulli, valenti strumentisti e arrangiatori, e cercava un clarinettista. Mi contattò attraverso Vincenzo Nonni, incontrandomi insieme ad Argelli, ma non ne volli sapere. Poi Nonni mi cercò a Roma, con Sergio Patuelli e Bruno Malpassi. Argelli mi aveva detto che per la mia carriera lui non si sentiva di trattenermi, così firmai ad occhi chiusi. Il 5 aprile del ’72 debuttai con l’orchestra Casadei».
Aveva paura?
«Certo. L’orchestra Casadei era di gran lunga la maggiore di Romagna, il boom che portò al successo anche gli altri l’avremmo praticamente creato noi di lì a poco. Ero giovanissimo e sentivo addosso una grande responsabilità».
E Raoul?
«Ne sentiva almeno quanta me. Da figura di secondo piano, ancorché incoraggiato dallo zio, si ritrovò a fare il leader! La forza di Raoul fu la caparbietà. Insieme alle canzoni, che scriveva in solitudine, la notte, nel suo capanno da caccia. Aveva un lato romantico molto profondo».
La svolta fu con Ciao Mare?
«Sì, nel ’73 arrivammo terzi al Festivalbar, dopo Mia Martini e Marcella Bella. E Raoul abbandonò la Fonit Cetra per la Produttori Associati, un’etichetta piccola ma molto efficiente, per la quale incideva anche De André, per dire. I successi successivi, come Simpatia nel ’74 o Giramondo nel ’75, ci permisero di cominciare a suonare da Pesaro a Bologna».
Ma Raoul aveva mire nazionali.
«Già suo zio era ambizioso, infatti assecondò Raoul sulle canzoni-cartolina, aiutate dal boom della riviera negli anni ’60. Raoul era infaticabile, non dormiva mai e voleva sempre di più: quindi arrivammo in tv, su Sorrisi e Canzoni. E poi vendevamo milioni di dischi e cassette».
Però il liscio non ottenne mai il supporto dei grandi network.
«È vero. Il successo era conclamato, vedemmo i locali ingrandirsi e suonammo in posti in cui erano stati Ray Charles e Frank Sinatra. Le grandi discoteche facevano almeno una serata di liscio ogni settimana. Eppure l’amarezza di Raoul era proprio quella di non finire in classifica. Il liscio era comunque considerato musica di serie B, se non C! Il giro d’affari, però, era miliardario. Orchestre, locali e scuole di ballo, ma anche sartorie per i costumi e le divise, albergatori, rivenditori di strumenti musicali, affissioni pubblicitarie. Era un sistema. Raoul riuscì persino a farsi fare un cartonato dall’Agip, perché nei distributori vendevano le musicassette…».
La musica solare divise il pubblico?
«Fu l’intuizione degli anni ’80 e credo fosse in anticipo sui tempi. Non era nella per cui gridare allo scandalo, anzi, pochi anni dopo la beguine sarebbe diventata normale nelle balere».
Se si potesse, oggi, celebrare Raoul?
«Credo che lo inserirebbero in repertorio davvero tutte le orchestre romagnole. Le sue canzoni resteranno comunque, Mirko ha preso una sua strada e in generale il settore è un po’ fiaccato dalla ripetizione degli schemi musicali. A me restano montagne di ricordi: ho suonato con Raoul per oltre 23 anni e mi ha portato anche in America».
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