Il «Natale di una volta» nei ricordi di Mario Gurioli

Romagna | 24 Dicembre 2020 Cultura
il-natale-di-una-volta-nei-ricordi-di-mario-gurioli
Federico Savini
«Il Natale è cambiato per davvero quando la televisione è arrivata in tutte le case». Se parliamo di Festività, il professor Mario Gurioli di Faenza, fra i più autorevoli esperti delle tradizioni della nostra terra, è uno che ha visto un prima e un dopo, e chissà che in questo strano 2020 non veda qualcosa che somiglierà a un «ritorno al prima». Ci riferiamo naturalmente al Natale «distanziato» che ci aspetta in queste ore, che avrà comunque ristrettezze non paragonabili a quello che si festeggiava fino 60 anni fa nelle nostre campagne. «Il Natale di quand’ero bambini io era un Natale “da poco”, diciamo così - esordisce Gurioli -. Di sicuro non era un Natale consumistico, quello che poco per volta ho visto cambiare fino per lo meno all’anno scorso».
La differenza maggiore tra ieri e oggi?
«Quand’ero bambino era una festa soprattutto religiosa. Ogni bambino imparava un sermone, che recitava prima in casa e poi in parrocchia. Dopo la recita, il parroco distribuiva a ogni bambino due caramelle e un santino. E poi c’era un presepe in tutte le case. Le statuine erano poche, di gesso, e spesso mezze rotte. Qualche giorno prima di Natale andavamo a raccogliere il muschio, l’erba nandrena, poi preparavamo l’angolo del presepe in cucina. A casa mia c’erano sette donne e una settimana prima cominciavano a lavorare al pranzo di Natale».
Cosa si mangiava?
«Il piatto della festa per antonomasia erano i cappelletti. Quindi le donne mettevano da parte le uova, che le galline in dicembre non producono in grande numero. Il formaggio lo facevano in casa con il latte delle mucche e si preparavano tantissimi cappelletti. Io ne ho contati anche un migliaio! Era il solo “extra” della festa, quindi si mangiavano a pranzo ma dovevano restarne anche per cena. Poi c’era la ciambella mentre il cappone aveva una particolarità. Tutti li allevavano, ma se ne mangiavano pochi. Mio padre ne allevava anche una trentina ma solo uno era per noi, per festeggiare, mentre il resto era per le regalie del padrone. Per patto colonico dovevamo portarne dodici solo al padrone, e poi al fattore, al dottore e così via. I rimanenti li vendevamo, così l’azdora ci comprava qualcosa. Normalmente un indumento, perché secondo la tradizione rinnovando un indumento avremmo evitato la malattia nell’anno nuovo».
Quindi c’erano i regali?
«Una specie, poca cosa, perché parliamo per lo più di guanti, calzini e maglie da pelle, tutte cose che lasciavano i bambini abbastanza indifferenti… I regali nel senso di oggi non esistevano, così come Babbo Natale e l’albero. Il primo lo vidi a casa dei padroni».
E i primi alberi di Natale «del popolo»?
«Arrivano negli anni ’50. Mio padre tagliava qualche ramo di pino e di abete e gli dava la forma di un albero, a cui appendevamo con un filo caramelle, arachidi, carruba e mandarini. Ma si potevano toccare solo per la Befana, perché era lei che portava i regali».
E Zoc ed Nadel non c’entra niente con l’albero?
«No, è tutt’altra cosa. Il pomeriggio della Vigilia mio padre lo portava a casa questa grossissima ceppaia, fatta con la base o la testa di grosse piante. Veniva tenuto nascosto tutto l’anno perché, sempre per patti colonici, il contadino non poteva possedere legna grossa ma solo potature e gli alberi nel podere del padrone erano contati! In pratica i contadini tagliavano un vecchio albero, lo segavano a pezzi grandi e poi lo nascondevano. Al posto del vecchio albero piantavano un palo di pioppo che in primavera rifioriva, sostituendo l’albero del “zoc”. Dopo la cena frugale del 24 e “zoc”, che pesava due quintali, veniva rotolano fin dentro al camino e gli si dava fuoco. Simbolicamente scaldava Gesù bambino che nasceva. Doveva bruciare fino alla Befana ma, per quanto grande, era impossibile senza trucchi. Così lo si faceva bruciare per tutta la notte e il giorno di Natale, poi lo si teneva da parte in modo si consumasse pochissimo. Così arrivava alla Befana e il carbone che restava dopo il suo spegnimento aveva vari usi. Si pensava che avesse la vartò e insieme alla palma benedetta doveva fermare le grandinate, poi serviva per far passare la diarrea ai maialini, cosa che ha una base scientifica perché in effetti il carbone è astringente, mentre in collina si pensava potesse addirittura fermare le frane!».
Rituali della Vigilia?
«La Vigilia di Natale era una serata in tutto e per tutto devozionale, in cui non si festeggiava, a casa nostra assolutamente non si doveva mangiare nulla di riconducibile alla carne. E quindi si mangiavano le castagne, sbucciate e lessate, cotte nel loro brodo e con un po’ di sale. Poi si lessavano dei fagioli, condendoli né col grasso né con l’olio, che era prezioso e considerato quasi come una medicina, ma con la saba».
Quest’anno saremo abbastanza soli a Natale. A quel tempo?
«Si stava in famiglia, ed erano famiglie numerose, ma gli altri parenti facevano visita più a Santo Stefano».
Non sei un nostalgico, ma qualcosa da rimpiangere ci sarà stato…
«Beh, la solidarietà. Noi non eravamo certo ricchi, ma c’era chi stava peggio di noi e le donne della mia famiglia portavano sempre pane e farina a chi stava peggio. Un anno toccò a un piccione, che era rimasto “vedovo”, quindi non avrebbe procreato, e finì nel brodo di una famiglia più povera…».
Tutto è cambiato con la tv?
«Quello è il passaggio più netto. Fino ai primi anni ’80 non cambiò tantissimo, ma con la tv cambiarono i modelli. Gli alberi hanno spopolato, con l’esaurimento della generazione dei miei nonni e le famiglie ristrette, si è cominciato a passare il Natale al ristorante».
Cosa puoi suggerire a chi dovesse soffrire particolarmente l’idea di un Natale frugale?
«Un credente dovrebbe recuperare l’aspetto devozionale del Natale, è il momento giusto per farlo. Se uno non crede, può sopperire ad alcune mancanze ad esempio cucinando in famiglia. Questo potrebbe ristabilire una familiarità intima che secondo me stiamo, o forse dovrei dire stavamo perdendo».
Compila questo modulo per scrivere un commento
Nome:
Commento:
Settesere Community
Abbonati on-line
al settimanale Setteserequi!

SCOPRI COME
Scarica la nostra App!
Scarica la nostra APP
Follow Us
Facebook
Instagram
Youtube
Appuntamenti
Buon Appetito
Progetto intimo
FuoriClasse
Centenari
Mappamondo
Lab 25
Fata Storia
Blog Settesere
Logo Settesere
Facebook  Twitter   Youtube
Redazione di Faenza

Via Severoli, 16 A
Tel. +39 0546/20535
E-mail: direttore@settesere.it
Privacy & Cookie Policy - Preferenze Cookie
Redazione di Ravenna

via Arcivescovo Gerberto 17
Tel 0544/1880790
E-mail direttore@settesere.it

Pubblicità

Per la pubblicità su SettesereQui e Settesere.it potete rivolgervi a: Media Romagna
Ravenna - tel. 0544/1880790
Faenza - tel. 0546/20535
E-mail: pubblicita@settesere.it

Credits TITANKA! Spa
Setteserequi è una testata registrata presso il Tribunale di Ravenna al n.457 del 03/10/1964 - Numero iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione:
23201- Direttore responsabile Manuel Poletti - Editore “Media Romagna” cooperativa di giornalisti con sede a Ravenna, Arcivescovo Gerberto 17.
La testata fruisce dei contributi diretti editoria L. 198/2016 e d.lgs. 70/2017 (ex L. 250/90).
Contributi incassati

settesere it notizie-romagna-il-natale-di-una-volta-nei-ricordi-di-mario-gurioli-n26998 005
Licenza contenuti Tutti i contenuti del sito sono disponibili in licenza Creative Commons Attribuzione