Il lughese Marco Scardovi: "Rientrato da poco dall'Africa, scosso dalla morte di Attanasio"
«Sono venuto a conoscenza della morte di Luca Attanasio durante un movimento in auto tra Port au Prince e Port-à-Piment, località in cui lavoro ad Haiti: è probabilmente anche a causa di questa circostanza che, fin dal primo istante, sconforto e commozione si sono fatti sentire in modo così intenso. Leggendo le notizie che si susseguivano sui siti dei quotidiani, e immaginando la notizia potesse essere arrivata ai miei cari, ho quindi pensato di scrivere loro e rassicurarli. Contesti assai differenti quello della Repubblica democratica del Congo e di Haiti, ma entrambi ad alto rischio». Marco Scardovi, 35 anni, lughese, dal novembre scorso lavora ad Haiti con Medici senza frontiere. Prima di partire per i Caraibi, con la stessa Ong è stato quattro mesi in Repubblica Centrafricana: «I Paesi all’interno dei quali organizzazioni internazionali e umanitarie sono chiamate a intervenire hanno quasi sempre necessità e bisogni tra loro differenti. Purtroppo, il più delle volte ad accomunarli è una parziale, se non in alcuni casi quasi totale, assenza dello Stato di diritto. In contesti di questo genere ogni posto di blocco diviene potenzialmente rischioso, e poco importa se a fermarti siano autorità (polizia o esercito regolare) o gruppi armati. In certe zone del mondo, chi ha un’arma detta la propria legge, e a farne le spese è in primo luogo la popolazione». Marco terminerà il proprio incarico ad Haiti a maggio, dopo 6 mesi di missione: «Credo che la morte dell’ambasciatore italiano, della sua guardia del corpo e dell’autista che li accompagnava, possa e debba rappresentare uno spunto di riflessione rispetto al lavoro che queste persone stavano svolgendo e alle motivazioni che sicuramente li hanno mossi fin da principio. Per quanto si possa cercare di documentarsi e comprendere ciò che accade in certe parti del mondo, in questi anni mi sono reso conto che ciò che si prova trovandosi in certe situazioni e contesti è difficilmente intuibile e descrivibile fino al momento in cui lo si vive in prima persona. La prima volta che sono partito in missione è stato nel 2019, in Sud Sudan con Avsi (Ong italiana che si occupa principalmente di cooperazione allo sviluppo). Qui ci siamo occupati di implementare progetti di sicurezza alimentare finanziati da Aics e Unione europea. Per la prima volta in vita mia ho realmente compreso cosa significhi nascere in certe parti del mondo, e rischiare fin dal primo giorno di vita di morire di fame o dissenteria, o essere vittima di violenza o guerra civile. Cibo e cure mediche sono beni e servizi che in Europa abbiamo la fortuna di poter dare praticamente per scontati, non rendendoci conto che per la maggior parte della popolazione mondiale la situazione è ben diversa». (s.manz.)