Il liscio all’Ariston e sul piccolo schermo nazionale: non è la prima volta

Romagna | 28 Febbraio 2021 Cultura
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Federico Savini
«E porterò con me la canta / Dell’uomo semplice e felice / E porterò la poesia / Di questa santa terra mia». Raoul Casadei è sempre stato uno didascalico. Andò a Sanremo precisamente con queste intenzioni nel 1974, quando l’orchestra che aveva ereditato dallo zio e lanciato con successo sul proscenio nazionale - mentre in Romagna il boom del liscio era un autentico fenomeno di costume - si guadagnò appunto un lasciapassare tra i concorrenti del Festival della Canzone Italiana. Davvero niente male per l’esponente più in vista di un genere musicale che mieteva successi scrocianti sulle piste da ballo, rendeva più indimenticabili le vacanze rivierasche di tutti gli italiani ma non aveva mai fatto breccia in Rai. La canzone che Raoul scelse per l’Ariston è La Canta, composta insieme a Enrico Muccioli e Al Pedulli e affidata alle voci di Rita Baldoni ed Edgardo Gelli, allo scopo appunto di portare un po’ di retorica campagnola in tutta Italia, al suono di versi quali «Partire vuol dire morire / Morire con la voglia di cantare / Cantare per chi ha perduto ormai la fede / Per chi non ha più tempo di sognare».
Richiamandosi alle cante primo-novecentesche di Aldo Spallicci, Raoul portò a Sanremo un valzer schiettissimo (cosa che difficilmente faranno gli Extraliscio tra qualche giorno), ma l’esperimento, ahinoi, non funzionò. La canzone addirittura subì l’onta dell’eliminazione anzi-tempo, cioè prima della serata finale, e proprio mentre l’orchestra rincasava pare che Vittorio Salvetti, deus ex machina del Festivalbar e grande amico di Raoul, comunicò al «re del liscio» che in realtà il pezzo era stato in extremis ripescato. A questo punto l’attentissimo Gianni Siroli riporta di una corsa contro il tempo che vide gli orchestrali romagnoli, trafelati, ritornare a Sanremo appena in tempo per la diretta, e vedersi però comunicare che la canzone era nel frattempo stata definitivamente eliminata.
Poco male, in fondo il doppio smacco diede all’orchestra una certa visibilità mediatica e poi Raoul aveva abbandonato subitaneamente l’Ariston, dopo la prima eliminazione, perché era uno che suonava tipo 350 volte l’anno, con doppi servizi che nel fine settimana erano la norma…
Ma questa di Raoul Casadei non è che la più celebre (in realtà non più così celebre…) delle comparsate sanremesi di musicisti legati al liscio. Non è propriamente il caso del brisighellese (poi lughese acquisito) William Galassini, musicista che in gioventù non suonava ballabili «antichi» ma «moderno» swing americano. Ed era così bravo che nel ’52 entrò nell’entourage del Festival accompagnando in scena i cantanti in gara; anche Domenico Modugno nel 1959 di Piove. Nel frattempo Galassini guidava la «sua» orchestra Milleluci, che occasionalmente capitava in Romagna per inaugurazioni e occasioni speciali.
Il 1962 è stato un anno cruciale per la nostra storia, perché a Sanremo cantarono ben quattro artisti romagnoli: Emilio Pericoli da Cesenatico, Pierfilippi da Lugo, Bruna Lelli da Meldola ed Edda Montanari da Lugo. Cantanti pop, s’intende, anche se la Montanari per poco non finì a cantare nientemeno che con Secondo Casadei (che le propose un ingaggio), mentre Bruna Lelli negli anni ’70 avrebbe ripiegato sulla Romagna delle orchestre, diventando leader del Gruppo 2 di Vittorio Borghesi.
Un’altra cantante pop legata al liscio è la massese Eugenia Foligatti, in concorso nel 1963. La Foligatti veniva dalle balere, poi negli anni della ribalta nazionale fu seguita da Gorny Kramer (uno che il liscio lo studiava con attenzione, visto che per un po’ guidò il complesso Kramer e i suoi villici) e diversi anni dopo Sanremo tornò a guidare un’orchestra romagnola, tra le prime donne a porsi come leader.
Ha poi legato indissolubilmente il suo nome al liscio, ma nasce assolutamente come cantante pop di prima grandezza, Armando Savini, che prese parte al Festival nel 1969, presentando insieme alla cantante Sonia la canzone Non c’è che lei, che però non si aggiudicò l’accesso alla finale.
L’anno dopo Raoul, quindi nel 1975, a certificare il momento di massima visibilità della musica da ballo romagnola, un altro asso del liscio approdò a Sanremo con la sua orchestra. Si tratta del sassofonista forlivese Ely Neri, assiduo animatore del mondo dei night club (si è sempre vantato di aver accompagnato al piano anche Silvio Berlusconi) che però nel contempo non abbandonò mai le balere (aveva un’autentica venerazione per Secondo Casadei). A Sanremo Ely Neri portò un brano dal titolo squisitamente romagnolo come Tango di casa mia. E non è finita qui, non solo perché nella stessa edizione all’Ariston cantarono anche i riminesi G.Men (in pratica un tardo complesso beat che si riconvertì velocemente al pop melodico, e all’interno del cui organico figurava il futuro autore di Fiki Fiki, immortale hit balneare di fine anni ’80 che avrebbe consacrato l’iconico Gianni Drudi), ma perché nel ’76 Ely Neri tornò a Sanremo, dove all’interno di un quartetto d’eccezione completato da Hengel Gualdi, Bruno Martino e Glauco Masetti ripeteva ogni sera i motivi delle canzoni in gara (altro aneddoto succoso riportato da Gianni Siroli).
La storia «vintage» del «liscio sanremese» finisce qui, ma probabilmente la comparsata più celebre è rimasta quella che nel 1996 fece di nuovo l’orchestra Casadei - guidata però da Moreno il Biondo, che quindi calcherà il palco dell’Ariston per la seconda volta, insieme agli Extraliscio -, accompagnando nella serata dei duetti gli Elio e le Storie Tese sul miliare brano La terra dei cachi, che di quella edizione del Festival della Canzone Italiana fu «vincitore morale». E c’era anche un po’ di Romagna.
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