IL CASTORO | «Sea Defence Solutions» per bloccare i rifiuti, arriva anche sul Lamone

Romagna | 15 Giugno 2021 Blog Settesere
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Irene Roncasaglia

Durante una passeggiata lungofiume ci si imbatte frequentemente in accumuli di rifiuti trasportati dalla corrente, che inquinano l’ambiente e rovinano il paesaggio. Per rispondere a una preoccupazione crescente, viva anche a Faenza, il Castoro ha intervistato Fabio Dalmonte, ingegnere lughese di 39 anni, Managing Director e co-founder di Seads, un innovativo progetto di raccolta dei rifiuti dai fiumi, grazie al posizionamento di barriere  galleggianti rigide.
Qual è l’obiettivo della vostra organizzazione?
«Seads, Sea Defence Solutions, è una giovane impresa che nasce per offrire una soluzione all’inquinamento degli oceani. Il nostro obiettivo è quello di migliorare progressivamente le condizioni ambientali nei mari del pianeta. Ciò richiede innanzitutto una maggiore sensibilità e poi sarebbe necessario cambiare le abitudini delle persone. È un lungo processo che richiede tempo. L’interesse per l’ambiente si sta diffondendo solo da pochi decenni e conseguentemente gli interventi di ripristino ecologico procedono lentamente. Abbiamo perciò deciso di sviluppare una soluzione alternativa: intercettare le plastiche nei fiumi, prima che arrivino negli oceani e diventino il fake food di uccelli, pesci, delfini e tartarughe. Non sono sostanze tossiche solo per gli animali, ma anche per l’uomo, risalendo la catena alimentare».
Come ha avuto origine la start up?
«La nostra impresa è nata recentemente dall’unione di tre soci e due collaboratori, partendo da una mia idea, in seguito a uno studio che ho effettuato a Giacarta sull’inquinamento dei fiumi e dei mari, come tesi del master nella gestione dei rifiuti. La start up ha sede a Londra, dove ho lavorato a lungo, ma il progetto è stato brevettato in Italia e successivamente esteso a livello internazionale. L’obiettivo è quello di coinvolgere gli stati in cui si trovano i 10 fiumi più inquinati del mondo, responsabili di oltre l’85% della plastica di provenienza fluviale, che giunge nei nostri oceani».
In che cosa consiste il progetto?
«La nostra tecnologia per intercettare la plastica fluviale prevede l’installazione delle blue barriers nei corsi d’acqua. Sono barriere galleggianti rigide, che hanno l’obiettivo di fermare i rifiuti e farli confluire in un bacino di raccolta, per poi accumularli, prelevarli e riciclarli. Sono costituite da un pannello di polietilene in plastica riciclata, sostenuto da una struttura portante di 4 cavi di acciaio e ancorato ad una sponda del fiume. Le barriere sono inoltre immerse per circa 80 cm-1m, in modo da intercettare la maggior parte dei rifiuti, sfruttando la corrente. Non hanno impatto sui pesci e sulla fauna fluviale e nemmeno sulla navigabilità. Inoltre sono controllate tramite videosorveglianza da remoto: in caso di piena il sistema automatizzato apre le barriere, lasciando libero il naturale flusso dell’acqua. La semplicità che caratterizza il progetto rende questa soluzione conveniente, a basso impatto, oltre che di facile installazione e manutenzione».
Quando è venuta l’idea è stata per voi di ispirazione la macchina Interceptor, che il giovane olandese Boyan Slat ha sperimentato nei fiumi, con la sua organizzazione no profit Ocean Clean Up?
«I nostri primi prototipi sono nati in parallelo al progetto Ocean Clean Up, con due soluzioni differenti allo stesso problema. Per questo siamo in contatto, infatti la sfida ambientale è talmente grande che ognuno di noi deve collaborare per lo stesso obiettivo: ripulire gli oceani del nostro pianeta. In origine il progetto di Boyan Slat era rivolto alla raccolta dei rifiuti in mare, ma questo prevede costi maggiori, un’elevata quantità di carburante, dannoso per l’ambiente e la raccolta dei rifiuti sarebbe nel complesso scarsa. Infatti negli oceani le plastiche in superficie sono solo l’1%. Poi anche i loro prototipi hanno iniziato a essere impiegati sui fiumi, dove si riescono a controllare i detriti fino alla profondità di 1 metro, zona in cui sono maggiormente concentrati».
Installare barriere Seads può essere svantaggioso sotto il profilo economico? Chi finanzia il progetto?
«Il prodotto si vende all’amministrazione pubblica, di solito è la Regione che si occupa dei corsi fluviali. Ciò non rappresenta un motivo di svantaggio, anzi, gli enti pubblici avrebbero un ricavo sicuro nell’installare le barriere, dato che sono interessati a preservare un ambiente sano, pulito e fiumi e mari inquinati rappresentano un deterrente per il turismo. Eventuali contributi aggiuntivi sono forniti da aziende private, che sponsorizzano l’installazione».
Ci sono applicazioni del progetto in Romagna?
«Dopo aver brevettato e simulato il nostro progetto, nel 2019 abbiamo creato la prima installazione provvisoria sul fiume Lamone, a completamento del test. In questa occasione è stato confermato il pieno funzionamento della struttura, che ha riportato grandi risultati con la raccolta di una buona quantità di plastiche, considerate le ridotte dimensioni del corso d’acqua. Secondo recenti stime scientifiche il Lamone trasporta circa 0,5 kg di plastiche in tre giorni, accumulandone quantità rilevanti in un anno. È comunque niente in confronto ai fiumi asiatici o indonesiani, dove si contano più di 10 mila tonnellate di rifiuti all’anno. L’installazione fissa sul Lamone è in corso di approvazione, come tanti altri progetti in tutto il mondo, che hanno subito rallentamenti a causa della pandemia. Per questo non sappiamo ancora quando potremo attivarci, speriamo di applicare le blue barriers sul fiume romagnolo entro la fine dell’anno».

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